Gambarini, voce nuova del jazz italiano

La cantante protagonista a Umbria Jazz: «Sono stata sul palco con Herbie Hancock, Hank Jones e Michael Brecker». Ora pubblica il suo primo cd, «Easy to love»

Franco Fayenz

da Perugia

Roberta Gambarini, giovane cantante torinese di jazz: la sua carriera è quasi un romanzo. I due concerti che ha tenuto al Teatro del Pavone di Perugia per Umbria Jazz nientemeno che con Hank Jones al pianoforte, George Mraz al contrabbasso e Willie Jones alla batteria rimarranno fra gli avvenimenti più interessanti del festival.
Facciamolo raccontare a lei, il romanzo. Parla con la stessa disinvoltura che ha sul palcoscenico, dove non si mostra per nulla intimorita da personaggi mitici come Hank Jones (88 anni fra pochi mesi, tecnica ed espressione intatte) e George Mraz. «Ho scoperto molto presto di avere attitudine alla musica e buona voce. Una precoce passione per il jazz ha fatto il resto. A 19 anni ho partecipato ai primi concerti e ho studiato con Gabriella Ravazzi, Mal Waldron e Giorgio Gaslini. Poi sono diventata milanese di adozione e ho insegnato ai Civici Corsi di Jazz. Nel 1998 ho deciso di trasferirmi a Boston. Non è stata una fuga da una realtà precaria, perlomeno non del tutto. Volevo studiare in quel conservatorio, dove il jazz è in grande onore».
Tutto comincia da qui. Roberta prende parte al Concorso Thelonious Monk di Washington e conquista il terzo premio. Nel mondo del jazz è nota l'importanza di quel concorso. La cantante italiana viene subito avvicinata da Larry Clothier, già assistente di Sarah Vaughan e di Carmen McRae, che la presenta ai musicisti giusti. «È stato quasi incredibile per me conoscere Hank Jones, il sassofonista Jimmy Heath, il povero Lionel Hampton costretto su una sedia a rotelle, e capire che gli piacevo».
Quali sono state le sue prime collaborazioni importanti?
«Sono arrivate una dopo l'altra. Nomi grossi: Herbie Hancock, Ron Carter, Michael Brecker, la Dizzy Gillespie All Stars Big Band diretta da Slide Hampton e naturalmente Hank Jones».
Parliamo della Big Band. Lei con questa orchestra è ritornata nel Vecchio continente e ha partecipato al festival Jazz Baltica, ripreso da varie televisioni europee, esclusa naturalmente quella italiana. In questo modo alcuni intenditori - pochi ma buoni - hanno potuto ricordarsi di lei e sapere quale percorso straordinario avesse fatto.
«Me l'hanno detto. Io, in realtà, non ho mai tagliato i ponti con l'Europa e con l'Italia. Anzi, a questo proposito ho sentito al Teatro del Pavone una frase del tipo “la Gambarini è la prima italiana che sappia cantare bene il jazz”. La prego di scrivere che non è vero. Ci sono altre cantanti pregevoli. Io stessa, quando ho insegnato alla Civica di Milano, ho scoperto belle voci oggi affermate».
Si dice che lei scriva le liriche per i brani orchestrali che le piacciono. Conferma?
«Confermo. Ho scritto fra l'altro il testo per Lotus Blossom, una composizione di Billy Strayhorn che adoro. Le ho regalate a una collega che stimo, non ho problemi di questo genere».
Sta uscendo adesso il suo cd Easy to Love per In&Out, distribuito in Italia da Egea. Vorrebbe commentarlo?
«Lo considero il primo album a mio nome, sebbene alla fine degli anni Ottanta ce ne sia stato un altro. L'ho costruito con brani standard e con due diverse sezioni ritmiche: Tamir Hendelman o Gerald Clayton al pianoforte, John Clayton o Chuck Berghofer al contrabbasso, Willie Jones o Joe La Barbera alla batteria. James Moody è sassofonista e cantante ospite in due titoli».
Progetti?
«Cito soltanto quelli prossimi. In Italia, il 28 luglio canterò al festival di Fano con gli stessi musicisti.

Sarò poi al festival di Monterey con musiche di Dave Brubeck scritte apposta per me, e questo è davvero un sogno. In seguito lavorerò su composizioni di jazz e musica classica (Piazzolla, Villa Lobos) con Paquito D'Rivera».

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