Simone Mercurio
World music, jazz, new age, folk nordico e anche musica elettronica nel background del grande sassofonista norvegese Jan Garbarek, stasera alle 21 in concerto con il suo gruppo (Eberhard Weber al basso, Rainer Brüninghaus al piano e Manu Katché alle percussioni) presso la sala Santa Cecilia dell’auditorium Parco della Musica.
Chi vuole a tutti i costi incasellare un artista in un genere con Jan Garbarek ha vita dura, perché il musicista norvegese concentra in sé influenze plurime. Un vasto repertorio fatto da melodie cantabili ma non banali, di volta in volta malinconicamente scandinave, serenamente orientali, festosamente africane o latine. Jan Garbarek conosce la musica etnica come le sue tasche, e il suono del suo strumento, pur essendo «sempre quello», inconfondibile, in nessuna delle prove che affronta dà l’idea di essere fuori posto o eccessivo.
Jan Garbarek è uno degli artisti più originali e all’avanguardia del jazz contemporaneo, oltre che uno dei simboli musicali della Norvegia. I suoi album più innovativi sono da molti considerati «Witchi-Tai-To» del 1973 e «Dis» del 1976. La ricetta di Garbarek, dunque, è quella di un rifiuto delle tradizionali tematiche jazz. Nella sua musica toni acuti e lunghe note sostenute che ricordano gli inviti alla preghiera islamici nonché il generoso uso del silenzio e l’utilizzo di melodie folk tipiche della Scandinavia.
Una passione quella del sax che risale a quando il quattordicenne Garbarek ascoltò per la prima volta alla radio John Coltrane ed ebbe un’illuminazione. Seguire le orme del grande padre del sax gli aprì nuovi orizzonti portandolo ad avvicinarsi agli spiriti più liberi della New Thing, come Pharoah Sanders, Archie Shepp e in particolare Albert Ayler. Nel 1964 ebbe la possibilità di suonare con Don Cherry, il quale univa le tradizioni folk di tutto il mondo in un’unica varietà di Free Jazz, la variante più «anarchica» del tradizionale swing del jazz. Poco più di quarant’anni sono trascorsi da quel giorno, e Garbarek ha rispettato come meglio non avrebbe potuto la promessa solenne stipulata con se stesso. È diventato un gigante del sassofono, uno dei «cult musician» più autorevoli, venerati e rispettati di questo scorcio di secolo.
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