Gardaland, l’Italia provincia d’America

La prima cosa da dire dei parchi di divertimento è che i parcheggi funzionano, le toilette sono gratis e ben distribuite, e chiunque può sfamare la propria famiglia senza dissanguarsi. Lo stesso non può dirsi, invece, di Venezia e Firenze. Che c'entra Venezia con Gardaland? C'entra. Che cosa sono diventate, le nostre città d'arte, se non dei grandi parchi di divertimento? Che poi il divertimento consista nell'andare per cattedrali e pinacoteche anziché salire sulle montagne russe o sul trenino del Far West è solo questione di gusti: ma la categoria dello spirito è quella. Con rarissime eccezioni, le masse che fanno la coda per scendere le rapide di «Fuga da Atlantide» a Gardaland e quelle che si inscatolano come sardine nella Cappella Sistina sono virtualmente indistinguibili, omologhe. Forse sono le stesse persone, in giornate diverse. L'avevano già intuito alcuni grandi scrittori di fantascienza degli anni '50, come Frederik Pohl e John Brunner, che il futuro sarebbe stato un Luna Park diffuso, povero in canna ma scintillante di luci e lustrini. La stessa televisione che all'epoca dei Kennedy faceva pensare al progresso, all'educazione universale, cos'è diventata se non un grande parco giochi? E l'editoria? E che dire delle grandi kermesse letterarie? E il cinema? Sarà un caso, ma il film più visto della stagione, «La maledizione del forziere fantasma», si basa su un'attrazione di Disneyworld...
Gardaland, Mirabilandia, e tutti gli altri grandi divertimentifici nazionali, sono le cattedrali di una nuova religione di massa che ha nei centri commerciali e nei cinema multisala le sue chiese parrocchiali. Ed è inutile storcere il naso. Sono anche un segno di benessere. Quando avevo dieci anni il massimo di divertimento era la fiera del santo patrono, quando arrivavano le giostre e potevi salire sui «dischi volanti» e sentirti il Barone Rosso abbattendo i tuoi amici, o perderti nell'emozione del Castello Stregato. Le attrazioni di quelle fiere paesane erano povere, ma la fantasia di un bambino è la più grande lente d'ingrandimento che esista: così i cento metri quadri del tunnel degli specchi si moltiplicavano all'infinito, diventavano avventura, adrenalina, mito. Quelle attrazioni da poco erano come l'ipertasca di Eta Beta, come quei libri pop up che apri e formano figure tridimensionali, contenuti che diventano più grandi del contenitore. Quella magia, mi verrebbe da dire, è passata. Ma poi mi convinco che no, che è passata solo per noi bambini cresciuti, mentre nei nostri figli è ancora viva e vegeta.
E poi diciamocelo, c'è anche un fattore d'orgoglio nazionale. Quando eravamo bambini, se volevi abbracciare un papero o un topo alti due metri dovevi attraversare l'Oceano e andare a Disneyland, mentre ora attrazioni del genere le abbiamo anche qui, e puoi vedere americani e tedeschi fare la fila davanti a una giostra italiana. È una cosa che ci dovrebbe far mettere la mano sul cuore. Un Paese cresce anche così, mica solo col Pil.
Un'altra cosa grande dei parchi di divertimento è che uniscono le famiglie. Piacciono, in altre parole, ai bambini di tutte le età. Chi di noi, accompagnando i suoi figli sulle attrazioni più tranquille, non ha guardato con una punta d'invidia gli adolescenti salire sul simulatore di caccia a reazione o sulle montagne russe più alte del mondo? Viene da chiedersi, quando si vedono un papà e un figlio su un vagone dell'ottovolante, chi sia stato dei due a scegliere l'attrazione. Chi accompagni chi, insomma. Certo, al frequentatore più smaliziato di questi posti non può sfuggire che dietro tutto c'è la piovra del marketing, che i visitatori del Tempio Egizio sono segmentati per età e ceto sociale, e che le nuove attrazioni non vengono programmate in base all'impeto del cuore o della fantasia ma dopo attente ricerche di mercato. Ma il cuore e la fantasia sanno ricavarsi spazi fertili anche nel deserto. E i parchi di tutta Italia, oltre che incassi, producono sorrisi, adrenalina, abbracci. Emozioni.

Se poi volete cose più intellettuali, salite su un'attrazione in disarmo, di quelle ormai dimenticate: passando sotto colonne e palme scrostate, guardando il pupazzo di King Kong che perde il pelo o un Tarzan col sonoro fuori sincrono, proverete un senso del passato e della morte dei miti più che dopo aver letto tre volte La misteriosa fiamma della regina Loana di Umberto Eco.

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