Gentilissimo Granzotto, lannosa e adesso stucchevole querelle Garibaldi eroe vs. Garibaldi lestofante è già stata da tempo risolta dal popolo napoletano, il quale, mutando il testo della fanfaretta dedicata all'Eroe («Garibaldi fu feriii-to!/ fu ferito ad una gaaam-ba!...», come le è senzaltro noto lo rese con: «Garibard è juto a guerra/ e ha avuto na palla n ...ulo/ Garibard è nu piglia n ...ulo ... ») laddove lultimo lemma va interpretato non nel senso banalmente sessista, ma in quello che ad esso, non senza una buona dose di apprezzamento, quel popolo attribuisce: di persona che, per esperienza ed attitudine, è scaltra e capace di farla in barba a tutti. I napoletani, dunque, non sapevano, ma, essendo diretti discendenti degli antichi greci, dintuito capirono, ed in soli quattro versi qualificarono e la persona (Garibaldi) e il fatto (la conquista del Meridione). Ed accolsero con favore lUomo, nel quale riconobbero un segno della propria anima, e con rassegnazione lunione, che fu intesa come il frutto della garibaldesca scaltrezza, di cui erano stati, comunque, vittime. Così, definitivamente risolta la questione iniziale, resta infine da chiarire solo il non trascurabile dettaglio di sapere in quale sua zona anatomica Garibaldi realmente pigliò la «palla». Lei ne sa qualcosa?
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Pensa che ti ripensa, ho deciso di risponderle, caro Scacchetti, proprio perché il «lemma» non suona offesa, ma complimento a Garibaldi. Pur sempre lEroe dei Due Mondi. Sa, molti se non moltissimi lettori (per non parlare dellamico e dirimpettaio Mario Cervi) non è che approvino certe confidenze, quando si tratta di Padri della Patria. Comunque, è vero, andò proprio così: «Galibardo», il «duce invitto», fu accolto con esultanza da molti napoletani (la temporanea esultanza per il principe o imperatore o duce di turno, noi italiani labbiamo nel sangue). Alberto Mario, scrittore, giornalista e garibaldino (un leghista, lo definiremmo oggi, per la sua furiosa insistenza nel voler abbattere le centraliste «satrapie burocratiche» e dar luogo a un decentramento regionale) così descrisse il trionfale struscio di don Peppino «immezzo a trecentomila persone che piangevano di gioia, che deliravano dentusiasmo, allimprovviso e incruento passaggio dalla schiavitù alla libertà, e alla vista della figura raggiante e simpatica di Garibaldi emancipatore. Da via Toledo londa popolare riagitandosi come in tempesta, carri pieni di cantori e di suonatori, migliaia di carrozzelle montate da frati, soldati, cittadini, correndo su e giù fra gli ululati di Viva lItalia una». E pensare che lemancipatore era di pessimo umore perché Vittorio Emanuele lo aveva tagliato fuori, non consentendogli di partecipare allepilogo della conquista (ovviamente accompagnata dal passaggio dalla schiavitù alla libertà, non serve nemmeno ricordarlo) in un sol boccone del Sud. Garibaldi chiese infatti al re di partecipare allultimo assalto delle ridotte borboniche napoletane (tenute - cè da dirlo? - da quattro scalzacani di «briganti»). Vittorio Emanuele gli rispose che non se ne parlava nemmeno, però lo invitò a colazione, ma don Peppino, che dalla rabbia aveva il sangue agli occhi, declinò lofferta. A maggior «scuorno» le Camicie Rosse furono anche escluse dalla spettacolare parata nella Napoli «redenta» alla quale parteciparono esclusivamente ufficiali e soldati piemontesi in un tripudio di medaglie al valore, di sciabole, galloni, sciarpe, spalline a frangia e alamari in canutiglia dorata.
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