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Gascoigne è sparito Il figlio: "Morirà presto"

I dannati del pallone. Uscito dalla clinica in permesso non è mai arrivato a casa. E il giovane Regan dice: "Sarà stato un campione, ma non un padre"

Gascoigne è sparito 
Il figlio: "Morirà presto"

«Non farò la fine di Best». Un anno e mezzo fa Paul Gascoigne confessò di aver paura. Dopo una vita scapestrata, ad alto tasso alcolico e con decine di risse, quell’operazione d’urgenza allo stomaco per un’ulcera perforante lo aveva spaventato. Sembrava il momento della svolta, l’ex campione inglese era pronto a darsi una regolata. Ma non ci riuscì e il suo dramma umano non vede ancora la fine. Ricoveri coatti, arresti, suicidi tentati, fughe e ritorni a casa, perfino un’esperienza-lampo in tour con gli amici Iron Maiden conclusa con un’ubriacatura a Budapest: il 2008 lo ha visto nuovamente protagonista delle cronache. Fino all’ultima fuga, quella di Natale.
Gazza è sparito nel nulla, non si hanno sue notizie da giorni. Era atteso a casa della madre Carol per il classico pranzo in famiglia, ma non si è fatto vedere e ora, come scrive il Daily Star, nessuno sa dove sia, anche se i suoi familiari sono terrorizzati all’idea che possa essere ricaduto nell’antico vizio dell’alcol, da cui stava cercando di risollevarsi per l’ennesima volta. Gascoigne era, infatti, in cura da tre settimane in una clinica specializzata nel Gloucestershire, dove stava seguendo un pioneristico programma riabilitativo da 2000 sterline a settimana denominato «Equine Assisted Psycotherapy». Un programma che, oltre a isolarlo completamente dal resto del mondo (proibiti giornali e telefonino), prevedeva anche il dialogo con i cavalli. E visto che l’ex stella della Lazio e della Nazionale inglese stava rispondendo bene, i medici gli avevano concesso un permesso di tre giorni per festeggiare il Natale con i propri cari. Peccato che abbia deciso di cambiare programma e che non si sia preoccupato di avvisare nessuno.
Incorreggibile Gazza. A settembre si erano rincorse voci su Internet circa una sua possibile morte, tanto che centinaia di tifosi avevano preso d’assalto i centralini della polizia. Ad allarmare i fan, le indiscrezioni che volevano l’ex campione in pessime condizioni psico-fisiche dopo il ricovero in un ospedale nell’Algarve, in Portogallo, per una sospetta overdose di pillole e alcol che gli aveva provocato un collasso. Ventiquattro ore prima aveva incontrato l’ex moglie Sheryl e i figli che lo avevano supplicato di entrare in clinica a disintossicarsi. «Lasciatemi morire in pace», la stizzita risposta di Gascoigne, colorita da un eloquente «f... off». Ora la fuga natalizia dopo il nuovo tentativo di cura.
Ma la preoccupazione di familiari e amici non pare essere condivisa da Regan, il figlio dodicenne dell’ex campione. Nel corso di un’intervista-choc inserita nel documentario «Saving Gazza» (che verrà trasmesso da Channel 4 il prossimo 5 gennaio) e anticipata ieri dal Daily Mirror ha detto di averne abbastanza del suo alcolizzato padre. «Se potessi, lo vorrei fuori dalla mia vita per sempre – ha raccontato –, ma ho paura che sia comunque destinato a morire presto. Il fatto che si tratti di Gazza e che sia stato un campione non fa di lui un bravo padre o una brava persona. Uno dei momenti più disgustosi è stato quando in un letto d’albergo lui continuava a mangiare dolci, a vomitare nel sacchetto e a rimangiarli. A quel punto mi sono detto: “Perché dovrei riaverlo nella mia vita?”».
Del resto, Regan è sempre cresciuto con mamma Sheryl, perché Gascoigne se ne andò di casa poco dopo la sua nascita, salvo tornarvi pentito la scorsa estate per chiedere di nuovo l’aiuto dell’ex moglie. Ma dopo appena 12 giorni e l’ennesimo, violento litigio, Gazza fece le valigie e se ne andò a zonzo per l’Europa per due mesi fino al ricovero in Portogallo. «A questo punto – ha concluso il piccolo – non credo che ci sia qualcuno in grado di aiutarlo. È mio padre, avrebbe dovuto aiutarmi lui in tutti questi anni e invece non l’ha fatto, non intendo più sprecare altre lacrime per lui.

Mi dispiace vederlo ridotto così, ma non è colpa nostra».

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