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Gay: a Strasburgo, negare il matrimonio non viola i diritti dell'uomo

Non c'è posto a Strasburgo per i matrimoni omosessuali. In Austria, il loro paese d'origine, Horst Michael Schalk e Johann Franz Kopf si sentivano discriminati. Più volte le autorità avevano detto no al loro desiderio di convolare a nozze. Come le coppie eterosessuali sognavano una famiglia, un matrimonio. Dopo il no dell'Austria Strasburgo era la loro carta di riserva.

Hanno fatto ricorso, pieni di speranze e ambizioni alla Corte dei diritti dell'uomo. Speravano che almeno là, a Strasburgo i giudici avrebbero riconosciuto loro il diritto a sposarsi. E invece niente. Sconfitti. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è un diritto. O meglio, negarlo non significare negare un diritto. Né tantomeno una violazione della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Così ha stabilito ieri la Corte europea di Strasburgo con quattro voti a favore e tre contrari.

Ogni Stato, quindi, può decidere autonomamente se celebrare matrimoni tra persone dello stesso sesso e di conseguenza se garantire gli stessi diritti riconosciuti alle coppie eterosessuali. Il caso è arrivato fino a Strasburgo su ricorso di una coppia di gay austriaci, Horst Michael Schalk e Johann Franz Kopf, a cui le autorità avevano rifiutato ripetutamente il permesso a contrarre matrimonio.

«Le autorità nazionali sono preposte per soddisfare i bisogni sociali in materia. E il matrimonio racchiude connotazioni sociali e culturali profondamente radicati, che differiscono largamente da un Paese a un altro», ha spiegato il giudice. «I differenti Stati europei non devono - ha concluso - forzatamente conferire (alle coppie omossesuali, ndr) uno statuto analogo sotto tutti i punti di vista al matrimonio».

La coppia, che ha tre mesi di tempo per presentare ricorso in appello, sosteneva che era stato violato il loro diritto a sposarsi, come sancito dall'articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e affermavano di considerarsi discriminati nel loro diritto a creare una famiglia. In Austria è stata introdotta quest'anno una legge sulle «partnership registrate» che non riconosce alle coppie gay gli stessi diritti garantiti alle coppie eterosessuali.

Nella sentenza, che accoglie le ragioni dell'Austria, viene specificato che gli Stati non sono obbligati, in base alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ad assicurare l'accesso al matrimonio alle coppie dello stesso sesso.

L'Austria resta così, insieme all'Italia, ancora al palo sul riconoscimento delle unioni civili rispetto ad altri Paesi europei come la Spagna, il Belgio, l'Olanda la Norvegia e in Portogallo, dove il sì è possibile. Per non parlare della Svezia dove è aperta anche la strada dell'altare.

Resta alta l'attenzione sul tema a Strasburgo. La Corte dei diritti dell'uomo, sulla scia della quale il legislatore interno dovrebbe muoversi, ha recentemente riconosciuto il diritto a subentrare nella locazione al compagno omosessuale di un uomo deceduto, estendendo così l'applicazione delle regole per i conviventi anche alle coppie gay.
La decisione era scaturita dal ricorso di un uomo polacco che, dopo una lunga convivenza, aveva richiesto di poter rimanere nell'abitazione malgrado il contratto fosse intestato al compagno.

Diritto negato dai tribunali polacchi e affermato, con un orientamento che anche l'Italia è tenuta a rispettare, dalla Corte di Strasburgo.

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