A Gaza, in Libano e Iran la rivincita di Israele lava l'onta del 7 ottobre

Restituita la sicurezza, ripristinata la deterrenza. Ma Netanyahu non riesce a disegnare una pace

A Gaza, in Libano e Iran la rivincita di Israele lava l'onta del 7 ottobre
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Nuovo Ordine, la Difesa israeliana ha «battezzato» così i piani per cancellare Hezbollah dal Libano e riportare a casa i 60mila sfollati israeliani costretti, in questi 12 mesi, ad abbandonare le zone bersagliate dai missili del Partito di Dio. In quel nome c'è il paradosso di quest'anno di guerra. Una guerra resa inevitabile dagli eccidi di Hamas del 7 ottobre, che è riuscita nell'arco di un anno a cancellare qualsiasi ordine internazionale. E non solo sul fronte politico o militare, ma anche su quello etico e morale. E non solo a Gaza o in Libano, ma anche in un'Italia e un'Europa dove molti, troppi, celebrano, anziché condannare, le stragi di un anno fa. E con esse la follia autodistruttiva di un Hamas che pur di uccidere 1.300 israeliani e rapirne altri 251 ha condannato a morte 50mila palestinesi e alla distruzione il suo stesso regno di Gaza.

E poi c'è Israele. All'indomani del 7 ottobre doveva affrontare quattro sfide esiziali. La prima era restituire ai cittadini la fiducia nell'esercito e negli apparati di sicurezza dimostratisi incapaci di prevedere e fermare le stragi. La seconda era ricostruire la deterrenza, principale garanzia della sua sopravvivenza dal 1948 in poi. La terza era riportare a casa gli ostaggi. La quarta era ipotizzare - d'intesa con Usa ed Europa - il progetto d'uno stato palestinese libero dall'influenza di Hamas. Un progetto essenziale per permettere ai propri figli di non vivere più, come diceva Ariel Sharon, «con la spada al fianco». Mossad, Shin Bet (servizi di sicurezza interni) e Tsahal (esercito) hanno vinto le prime due sfide. A Gaza il numero uno di Hamas Yahya Sinwar è ancora vivo, ma il suo apparato militare è distrutto. In Libano la dirigenza di Hezbollah è stata decimata. L'Iran, capofila dei nemici d'Israele, si rivela non solo incapace di colpire Israele con i propri missili, ma persino di garantire la propria stessa sicurezza. Al punto da costringere la Suprema Guida Alì Khamenei a vivere sottoterra per non condividere la fine dell'alleato Hassan Nasrallah.

In questo contesto di indiscutibili successi militari il grande assente è un Benjamin Netanyahu deciso, qualche settimana fa, a far dimettere il ministro della Difesa Yoav Gallant e il capo di Stato Maggiore Herzi Halevi, ovvero gli artefici delle vittorie. Questo mentre sul fronte politico sono stati mancati tutti gli obbiettivi. Ad oggi solo 117 dei 251 ostaggi sono tornati a casa vivi. E Netanyahu non ha mai spiegato né che ne sarà di Gaza, né quale sia il progetto per il dopo Hamas. E soprattutto come eviterà che il seme della vendetta trasformi in nuovi terroristi figli e parenti dei cinquantamila morti di Gaza. Un pensiero che ossessiona, invece, i vertici di Tsahal. «L'idea che sia possibile distruggere Hamas e farlo svanire equivale a tirar sabbia negli occhi del pubblico» ha ammesso l'ammiraglio Daniel Hagari, portavoce dell'esercito israeliano.

Non a caso, come rivelano i sondaggi dell'Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale dell'Universita di Tel Aviv, l'87% degli israeliani dichiara, oggi, piena fiducia nei militari, ma solo il 37% dice lo stesso del governo. La mancanza di una guida politica all'azione militare israeliana non è solo responsabilità di Netanyahu. In questi 12 mesi l'amministrazione democratica statunitense - da Joe Biden in giù - ha rinunciato ad esercitare il ruolo di potenza internazionale. Nonostante gli 8,7 miliardi di dollari in aiuti militari garantiti a Israele lo scorso settembre, Washington non è riuscita a imporre a Netanyahu la condivisione di un piano politico. Per non parlare della devastante assenza di un'Europa che pure è la prima a subire le conseguenze del conflitto. E non solo a livello economico. Hamas, sconfitta a Gaza, continua a fa proseliti tra i nostri migranti e nelle nostre università garantendo terreno fertile a nuove ondate di terrorismo. Eppure Bruxelles assiste indifferente agli eventi.

E così mentre i generali israeliani disegnano il nuovo ordine di Gaza e del confine libanese, Europa e Stati Uniti contribuiscono al disordine internazionale. Mentre Netanyahu ripete gli errori di tanti suoi predecessori. Quello di vincere la guerra senza saper conquistare la pace.

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