Gazzarra a Montecitorio per la rievocazione del ’56

Insulti in aula. Il Pdci accusa la destra e Bertinotti. Dai radicali critiche a Napolitano

da Roma

Aveva ragione Nenni. E torto avevano Togliatti, Amendola, Ingrao: la classe dirigente del Pci che nel ’56 sostenne di «stare da una parte della barricata», anche se era la parte dei carri armati sovietici. Togliatti persino dichiarando di «bere un bicchiere di vino in più» alla notizia dell’invasione.
Fausto Bertinotti, richiamandosi ai pochi comunisti dell’epoca che capirono il tragico errore (Di Vittorio e Giolitti primi fra tutti), ha già commemorato due settimane fa in Ungheria le vittime dell’«immane tragedia». Lo stesso aveva fatto a fine settembre il presidente Giorgio Napolitano. Ma parlare di quei fatti in Italia sembra, paradossalmente, più difficile. La bagarre si è sfiorata ieri alla Camera, con scambi di accuse e un’inopinata posizione dei deputati del Pdci che hanno finito per attaccare la destra e soprattutto Bertinotti, «reo» di aver promosso un dibattito commemorativo e, magari, di aver rinnegato l’Armata rossa utilizzando «questa storia fatta con il Bignami» (Severino Galante).
L’auspicato clima bipartisan dura poco, soltanto quando Bertinotti nel suo discorso definisce gli insorti ungheresi «vittime della storia e portatori di futuro», ricorda «la repressione ottenuta con l’inganno dall’Urss» e l’«indelebile colpa storica». Ma la «condivisione della verità storica» svanisce già al termine dell’intervento, quando Stefania Craxi s’attacca al microfono (che verrà poi spento) per protestare, in quanto nel discorso non erano citati né Nenni né il padre Bettino. «Fu Craxi che chiese la riabilitazione di Nagy...», urla la Craxi. «Abbia la cortesia di adeguarsi a una seduta come questa, le chiedo un atteggiamento consono alla commemorazione», cerca di placarla il presidente.
La miccia però è accesa. E se persino da An (La Russa) giungono parole di apprezzamento per Bertinotti, il radicale di destra Benedetto Della Vedova attacca invece il presidente Napolitano. Quindi tocca al comunista-non-pentito Pino Sgobio, capogruppo del Pdci, cui riesce di riportare l’aula a un clima anni Cinquanta. Sgobio critica Bertinotti per la commemorazione in una sede «dove ricordi anche recenti portano a parlare in maniera astorica e impropria». Esprime «solidarietà a tutti i caduti ungheresi», ma si ostina a voler «collocare i fatti nel contesto storico». Alle prime proteste dai banchi della destra, Sgobio reagisce: «Lezioni di democrazia e libertà dagli eredi del fascismo non ne accetto... Il giudizio definitivo sui fatti d’Ungheria non può darlo chi si richiama agli assassini di Matteotti e Gramsci... Non vorrei che i vinti di allora oggi siano quelli che impediscono un dibattito sereno...».
Sul comunista nostalgico si abbattono una serie di improperi, dal «sei vecchio!» allo «scemo!», passando naturalmente per il fattuale «comunista!». Bertinotti invano si sbraccia, minaccia sospensioni, richiama all’ordine i deputati scongiurandoli di evitare una «gazzarra che disonora l’aula». La polemica tra comunisti, socialisti e carristi durerà per l’intero pomeriggio, la senatrice pdci Palermi definirà «indegno» l’attacco al collega deputato e «scelta infelice» il dibattito di Bertinotti.

Sgobio ribadirà fino alla noia il «no alla strumentalizzazione politica di questo drammatico anniversario, da parte di chi ha un solo obbiettivo: cancellare ogni ipotesi di alternativa politica rappresentata dal comunismo». Detto da lui, quasi una medaglia al valore per Bertinotti. Leader ispiratore di una Rifondazione che diventa sempre più arduo chiamare «comunista».

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