Gelmini, la nº1 del governo Ma senza nursery

Caro Granzotto, apprendo dal Giornale che il ministro Mariastella Gelmini sarà presto mamma e che siccome non intende trascurare troppo a lungo i suoi impegni governativi organizzerà una nursery al ministero. Trovo che questa sia una notizia bella e confortante. Induce ad aver fiducia in questo governo e nel futuro. Lei che ne pensa?
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Sa come si dice, caro Saluzzo? Ogni cosa a suo tempo. Io la penso così e dunque l’idea degli uffici d’un ministro di Stato adattati a pouponniere, con culle, fasciatoi, Pampers e biberon in giro non è che mi entusiasmi troppo. Però il ministro Gelmini ha talmente ben meritato che le si può concedere e perdonare tutto. La sua riforma dell’università va senz’altro annoverata fra le cose migliori e più importanti, forse la migliore e la più importante, realizzata da questo governo. È una riforma che non si deve esitare a definire storica (o «epocale», come piace dire): da un lato mette fine all’annoso malcostume delle baronie e del fregnacciume (ma lo sa che ci sono corsi di laurea in «Scienza della pace»? In «Trofeistica»? In «Scienze e Tecnologie del fitness»?) e del gigantismo accademico (66 università, oltre cinquemila corsi di laurea per dar lavoro a 26mila professori) dall’altro - e di conseguenza - privilegia e premia il merito, ponendo le basi di una struttura accademica in grado di formare, ma sul serio, la classe dirigente di domani. Mentre finché era ostaggio dei «baroni» sfornava disoccupati, perdigiorno tanto presuntosi quanto ignoranti, falangi di dottori in quella «Scienza della comunicazione» o in quella «Fenomenologia degli stili» dei quali, onestamente, il Paese non sente tutto questo gran bisogno. In quanto alla scuola, è andata. Davvero encomiabile l’impegno del ministro Gelmini per salvarla dalla catastrofe, ma anni di dominio del sindacato, di «cure» da parte della sinistra e di strapotere dei pedagogisti l’hanno infettata in maniera irreversibile e a quanto pare non c’è vaccino che possa salvarla. Ma perché, perché!, mettendo piede nel suo ufficio di ministro, Mariastella Gelmini per prima cosa non s’è almeno tolta d’attorno la consorteria dei pedagogisti equalitaristi che hanno in orrore la competizione, che vogliono tutti promossi, che impongono all’insegnamento il passo dei più ciucci rallentando se non proprio impedendo il progresso dei più bravi? Ovvero di coloro che studiano e s’impegnano, gli unici con le carte in regola per poter poi contribuire allo sviluppo e al progresso del Paese? Primo fra tutti, la Gelmini avrebbe dovuto togliersi d’attorno il professor Luciano Corradini, l’inventore dell’ora settimanale di «Cittadinanza e Costituzione», fanfaronata giacobina che mira a forgiare, attraverso l’assunzione della «responsabilità cognitiva-emozionale delle proprie intenzioni e azioni», il perfetto «sinceramente democratico». E che aggiunge un carico da dodici al ferale concetto di una scuola che non deve insegnare, che non deve istruire, ma educare, erudire il pupo per farne quello che si dice un utile idiota. Per fortuna, per somma fortuna, grazie alla riforma (che comunque va consolidata e fortificata) del ministro Gelmini sarà poi la nuova università a separare il grano dal loglio.

Lasciando al palo quanti, approfittando delle fisime dei pedagogisti, sono balzati senza fatica da una classe all’altra, forse maturando nel frattempo e magari ancora con i calzoni corti, «la capacità di cercare e dare un senso all’esistenza», forse sapendo «esprimere autenticamente se stessi» forse sentendosi pronti «all’interscambio culturale», come vagheggia Corradini, ma non avendo studiato e dunque non sapendo studiare. Cosa che lì si impara, sui banchi di scuola.

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