Sette ore di fronte al Copasir, rispondendo alle domande di Francesco Rutelli e degli altri componenti della commissione sul suo sterminato archivio di schede e tabulati, che comè stato confermato non hanno risparmiato Senato, Camera, presidenza del Consiglio e servizi di intelligence. Un archivio su cui la procura di Roma, dopo larrivo dei faldoni da Catanzaro, ha aperto un fascicolo al momento senza nomi nel registro degli indagati.
Gioacchino Genchi, il consulente di De Magistris nelle inchieste Why Not e Poseidone, dice di aver dato «piena collaborazione» al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Di certo il Copasir ha avuto delle conferme, anche sulla necessità di «unapprofondita riflessione sulle garanzie di funzionamento dei servizi, poiché è stata verificata lacquisizione di informazioni sensibili nellambito delle indagini». E così il passaggio del consulente di fronte allorganismo bicamerale si è protratto ben più a lungo delle attese. Saltate le audizioni ai responsabili di Tim e Vodafone, rimandate anche quelle ai direttori di Aisi e Aise, Giorgio Piccirillo e Bruno Branciforte, il Copasir dopo aver ascoltato il pm Luigi De Magistris (allindomani dellannunciata querela di Rutelli al magistrato, estensore della sentenza del Riesame di Napoli e autore di quella frase sui «rapporti ambigui» tra il politico e limprenditore Romeo) ha puntato i fari sul suo superconsulente. Una lunga serie di domande stringenti per acquisire «materiale rilevante». Genchi ha risposto. E alla fine si è difeso, minimizzando il contenuto del suo archivio. E derubricando la vicenda che lo riguarda da «più grande scandalo» a «più grande equivoco» della storia della Repubblica. Una chiave di lettura che non è la stessa dei componenti del comitato. Nel comunicato congiunto a fine seduta, il Copasir ha rimarcato che le audizioni di ieri «hanno consentito di acquisire elementi di grande interesse in relazione alle competenze del Comitato, che ha iniziato ad approfondire alcuni fatti e situazioni riguardanti i servizi di informazione e sicurezza». Stabilendo, per esempio, che «lacquisizione di dati sensibili non ha riguardato solo funzionari dei servizi e parlamentari, ma anche altre autorità istituzionali». Insomma, i dubbi sullo «sforamento» nella raccolta di informazioni compiuta dal consulente, sollevati anche dal Ros appena due giorni fa, vengono confermati. Eppure, lasciando sorridente palazzo San Macuto, Genchi ha approfittato di taccuini e telecamere proprio per replicare al rapporto sul suo archivio commissionato al Ros dalla procura generale di Catanzaro. Il raggruppamento operativo speciale dellArma lo aveva accusato di aver raccolto dati sensibili senza tener conto delle tutele di parlamentari e personaggi delle istituzioni. «Non cè il vangelo secondo il Ros», la lapidaria replica del consulente. Che poi ironizza sul contenuto delle sette ore di audizione: «Non abbiamo certo parlato della favola di Pinocchio». Quanto al merito di quelle quasi 600mila schede e alle migliaia di tabulati telefonici, però, Genchi prosegue nel suo mantra: non cè nessun mistero. «La mia attività è stata assolutamente trasparente e cristallina. Io ho solo subito e subito in silenzio. Sono una vittima, anche se ho sempre lavorato al servizio dello Stato», spiega serio. Poi, dopo una concessione conciliante allorganismo che lo aveva appena ascoltato («non ho certamente timore di essere esaminato e controesaminato da intelligenti parlamentari che vogliono solo fare chiarezza su queste vicende»), lancia una sfida: «Se qualcuno vuole che io cambi mestiere è possibile che ciò avvenga. Però una cosa è certa: devono prima trovare qualcosa e qualche illecito che io ho commesso. Mi sono venduto alla mafia? Ho violato il segreto? Ho violato la riservatezza?». Domande alle quali appunto intende rispondere il Copasir.
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