Ancora attacchi dei talebani, dolore per i caduti, parole di elogio per gli alpini che hanno combattuto duramente e voglia di riprendersi il controllo di quella maledetta valle del Gulistan, dove in quattro «sono andati avanti», come dicono le penne nere. Il generale Claudio Berto, comandante del fronte Nato nell’Afghanistan occidentale, ha appena salutato le salme dei suoi uomini, che questa mattina torneranno in patria. Lo raggiungiamo al telefono nel quartier generale di Herat. Risponde a Il Giornale con la voce un po’ roca, ma che si impenna quando parla dei combattimenti degli alpini e del loro sacrificio.
La colonna che ha perso quattro uomini è rientrata alla base ieri sera, ma sono stati di nuovo attaccati in mattinata nella valle del Gulistan. Cos’è accaduto?
«C’è stato un Tic (in gergo militare significa “truppe in contatto”, ndr ). Gli insorti hanno aperto il fuoco al passaggio dei mezzi. Gli spari erano sporadici. I nostri hanno allungato il passo e sono usciti dalla zona di tiro. Sono intervenuti gli elicotteri, che mostrando la loro presenza hanno ridotto i malintenzionati a miti consigli».
Cosa può dirmi dell’imboscata mortale di sabato?
«Prima di tutto che è una tragedia quando quattro soldati perdono la vita. L’imboscata era organizzata molto bene. È stato schierato sul terreno personale pronto a sparare con armi leggere, ma avevano studiato anche le nostre possibilità di movimento preparando itinerari dove piazzare le trappole esplosive».
Ci vogliono le bombe per i caccia italiani, che oggi sono disarmati, a parte un cannoncino, e scattano fotografie?
«Tecnicamente è un’opzione che può servire, già sperimentata dai nostri alleati in Afghanistan, ma come ha annunciato lo stesso ministro della Difesa, la decisione sarà discussa dal Parlamento».
In realtà la missione degli alpini in Gulistan era di scortare decine di camion civili carichi di materiali. Sono stati colpiti?
«Sì due o tre mezzi civili che erano nella colonna sono stati colpiti, ma i 70 afghani hanno ringraziato tantissimo i nostri soldati. Ci è costata cara, ma senza di noi non sarebbero mai usciti vivi dalla valle».
Dopo gli attacchi alle colonne via terra utilizzeremo di più gli aviolanci ed il trasporto con gli elicotteri per rifornire le basi avanzate in Gulistan?
«Il trasporto terrestre si è reso necessario perché dovevamo trasportare materiale logistico e di rafforzamento delle basi avanzate per renderle più sicure e far stare meglio i soldati all’interno. Purtroppo era materiale pesante, ingombrante, compreso quello per affrontare l’inverno, che poteva arrivare solo via terra. Per alimentare le basi verranno utilizzati in via prioritaria gli aviolanci e gli elicotteri».
Si sa quanti talebani hanno partecipato all’attacco mortale di sabato ed esiste una stima delle perdite inflitte?
«La risposta del 7˚ alpini c’è stata. Si sono comportati benissimo sotto il fuoco, sia con le armi di reparto, sia con i tiratori scelti. I ragazzi hanno usato anche il Panzerfaust (arma anticarro, ndr ) quando il nemico cercava di salire sui due o tre camion abbandonati. Sono stati valutati circa una decina di avversari colpiti».
Sembrano ben organizzati. Chi sono i talebani che hanno attaccato ripetutamente gli italiani?
«Dalla tipologia di attacco fanno presupporre che conoscano bene il mestiere del terrorista. L’idea che mi sono fatto è di gruppi contenuti di talebani ideologizzati, con una manovalanza composta in maggioranza da bande di criminali al soldo di chi paga di più, disposti a tutto per un po’ di denaro».
Nel Gulistan bisognerà riprendere il controllo del territorio.
Come vi muoverete?
«Non so cosa farà il mio successore, il generale Belacicco. Secondo me l’ipotesi più funzionale è quella di un’operazione stile Bala Murghab (il fronte nord dello schieramento italiano nell’Afghanistan occidentale, ndr ) spostandosi poco per volta. Rimanere fermi sul territorio, in modo da impedire ad altri di occuparlo. Creare una bolla di sicurezza, con dei capisaldi, che ha dato fino ad ora i migliori risultati».
Conosceva personalmente qualcuno degli alpini caduti oppure il ferito?
«Qualcuno lo avevo incontrato, ma velocemente, quando ho visitato le basi avanzate a Bakwa e nel Gulistan, ma non li conoscevo bene, perché sono della brigata Julia. Per me, per noi, però, questa perdita è un dolore grandissimo. Non ci sono parole per spiegarlo».
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