Non si può dire che il titolo di Newsweek, dell'autorevole Newsweek, sia vago e reticente: «La generosità è morta». L'inchiesta che lo sostiene, pure peggio. Il celebre magazine certifica a colpi di cifre e di percentuali il tramonto del furore umanitario dei ricchi, Paesi e uomini, nei confronti dei poveri, Paesi e bambini. «All'ultimo G8 - si lamenta - le grandi nazioni si sono accordate sulla solita litania di buone cause, dalla pace al riscaldamento globale, ma il tema che aveva dominato il summit soltanto cinque anni prima, gli aiuti ai miserabili, ha ottenuto soltanto una piccola menzione».
Certo è arrivata la grande crisi, si riconosce, ma il fenomeno resta comunque avvilente: «The death of generosity». Quanti rimpianti per un passato neppure lontano: giusto dieci anni fa, Tony Blair e Bill Clinton si accordavano con celebrità di alto profilo per organizzare aiuti pubblici e privati alle nazioni in via di sviluppo. Come dimenticare: Bono diventa un guru della solidarietà, i big della canzone e dello spettacolo si mobilitano freneticamente, il libro dell'economista Jeffrey Sachs sulla fine della povertà diventa un best-seller.
Sì, sembra ieri. L'industria frufrù dello spettacolo velocemente riciclata in accorata multinazionale della bontà. Star miliardarie, colte da impeto francescano, pronte a trasformare i loro palcoscenici in pulpiti di passionale divulgazione etica. Loro, che per tutta la vita hanno inseguito soldi, successo, bella vita, improvvisamente colti da crisi mistica e subito pronti a mettere noi con le spalle al muro: signori, sveglia, basta con gli egoismi, dobbiamo tutti darci da fare, una mano sul cuore e l'altra sul portafoglio. E noi, che magari già davamo, a sentirci pure in colpa.
Tutto finito, il generosificio cala la saracinesca. I governi non rispettano gli impegni, colti da improvvisa crisi epocale. E i predicatori in lustrini, misteriosamente, tutti dati per dispersi. É con vivo dolore che Newsweek ne dà il triste annuncio: «The death of generosity».
Se l'autorevole non si offende, vorrei aggiungere due parole: meno male. Mai decesso provocò tanto sollievo. Soprattutto perché non defunge la generosità: diciamolo, schiatta una certa generosità. Vediamo di non confonderci. Svanisce com'era montata l'onda anomala della solidarietà spettacolo, gestita, promossa e sbandierata dai pierre e dagli uffici stampa, poggiata su mega-eventi, con mega-ospiti e inevitabili mega-sottoscrizioni. Parliamo di una solidarietà a comando, diciamo pure di moda, più di pancia che di cuore. Una solidarietà pelosa e fragile, la solidarietà che serve prima di tutto a chi dà, per sentirsi un po' migliore: senza basi profonde, pronta ad essere spazzata via dal primo vento contrario. Appunto.
Sembrava un giorno che musica, cinema, teatro stessero ormai in piedi per questo solo scopo filantropico, come immersi in un'immane catarsi generale, che finalmente umanizzava l'umanità. I grandi concerti «Live 8», le dive scollacciate alle mostre del cinema, i tenori in esibizione congiunta, i rocker e i tenori in esibizione contaminata. Dietro, tutti gli altri. Ci siamo ritrovati con queste velinette dei programmi più insulsi ad addomesticare le famiglie italiane sui doveri di generosità. Decerebrate sedute sulla loro fortuna che improvvisamente ci insegnavano a chiappe nude come esprimere con un semplice Sms il nostro lato migliore, forza, siamo già a quattro milioni, non vorremo andarcene a dormire senza toccare i cinque, con tutti quei bambini che in questi stessi minuti stanno morendo di fame in Africa
Voglia il Cielo che «Newsweek» non si stia sbagliando. Che davvero la leggiadra pagina della solidarietà in smoking e ombelico scoperto, con le belle gioie vanitose a sostituire i veri missionari di trincea, con gli incassi stellari finiti chissà dove e chissà come, ecco, che questo smodato e insopportabile bestiario moralista sia davvero morto stecchito. Qualche prova in effetti c'è già: del povero Pakistan con l'acqua alla gola non sta fregando niente a nessuno.
Il decesso prematuro della generosità, di questa generosità, lascia almeno in eredità un certo messaggio. Più o meno, questo. Se le rockstar vogliono fare un grande concerto, che se lo facciano. Se i tenori vogliono incidere un Cd di gruppo, che se lo facciano. Se le sciacquette arriviste vogliono la prima serata, che se la facciano. Punto. Ma non andiamo oltre, non inventiamoci ascesi a gettone. Quanto allo slancio umanitario, rockstar, tenori e veline, come tutti noi, sanno benissimo che comunque nessuno li frena e li mortifica.
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