A Genova è battaglia per il controllo del primo porto d’Italia

A Genova è battaglia per il controllo del primo porto d’Italia

da Genova

Un tempo, per raccontare Genova, il suo porto e le sue famiglie, ci sarebbe voluto Conrad. Magari, a volte, anche quello dei Duellanti, dove comunque lo scontro fra i due protagonisti è romantico, epico e altissimo. Quasi sempre, nella Genova delle famiglie, c’è comunque il Conrad di Linea d’ombra, che fotografa alla perfezione il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, la scelta della responsabilità. Ecco, raccontare le grandi famiglie genovesi, a partire dai principi degli armatori, i Messina, è raccontare l’esatto contrario dei figli di papà: i giovani Stefano e Ignazio contano perché si chiamano Messina, certo. Condizione necessaria, ma non sufficiente. Contano soprattutto perché sono bravi e perché l’hanno dimostrato sul campo.
Un tempo, per raccontare Genova, il suo porto e le sue famiglie, ci sarebbe voluto Conrad. Oggi, è di troppo anche il Thomas Mann dei Buddenbrook: alla borghesia piena di voglia di vivere, di sfondare e di fare successo con i commerci, è subentrato spesso un mondo che non ha nemmeno la decadenza romantica degli artisti, ma la decadenza e basta. E la città ne paga pesantemente le conseguenze: in vent’anni, con la crisi delle industrie delle ex Partecipazioni statali e della siderurgia, si sono persi decine di migliaia di posti di lavoro. E l’anagrafe parla di quasi 300mila genovesi in meno rispetto agli anni Ottanta. Tutto questo si sente pesantemente anche nell’industria e nel porto, che dell’industria è il cuore pulsante. Il porto è l’industria genovese. Il porto è Genova. Parlano i numeri: oltre 700 imprese che operano oltre i cancelli dell’area demaniale portuale; 11mila occupati diretti; oltre 50mila lavoratori dell’indotto nel 2006; 7.631 navi attraccate in banchina nel 2006; 7milioni di metri quadri di superficie demaniale. Insomma, un colosso: il primo porto d’Italia, il secondo del Mediterraneo dopo Marsiglia.
Ovvio che, sul governo di tutto questo, si sia innescata una battaglia di potere. Che si interseca con quella per la guida di Confindustria Genova, sezione da sempre allineatissima con la gestione Montezemolo. I mandati dei due presidenti uscenti, Giovanni Novi all’Autorità Portuale e Marco Bisagno fra gli industriali, scadono quasi contemporaneamente, nelle prossime settimane, e i nomi dei loro successori sono ancora un rebus. La prima notizia è che, nonostante entrambi fossero al primo mandato, la loro conferma è tutt’altro che scontata. Anzi, nel caso del numero uno di Palazzo San Giorgio, sede dell’Autorità Portuale, è impossibile, per scelta dello stesso diretto interessato. Novi, signore d’altri tempi e broker fra i più quotati nel mondo dello shipping genovese, venne scelto quattro anni fa praticamente da tutti gli operatori portuali della città, al grido: «Uno di noi al potere». Poi, il feeling si è spezzato, a partire dalle differenti valutazioni sul waterfront di Renzo Piano, e ora il presidente è avversato da molti operatori.
Oggi, tutto è in alto mare. La Camera di commercio guidata da Paolo Odone - che può contare sull’appoggio pesante del presidente della Carige, Giovanni Berneschi, che ha stretto un patto di ferro con il nuovo presidente della Fondazione Carige Flavio Repetto, re del cioccolato e patron del gruppo Elah-Dufour-Novi - aveva puntato sul nome di Fabrizio Palenzona. Ma non abbastanza, visto che l’ha inserito addirittura in una terna, di fatto bruciandolo e incassando il no del diretto interessato. I terminalisti penserebbero all’assessore regionale ai Trasporti Luigi Merlo, enfant prodige della Margherita stimatissimo dal presidente della Regione Claudio Burlando. Confitarma pensa anche a un altro uomo vicino a Burlando, l’ex segretario regionale diessino Mario Margini, attualmente assessore comunale. Ma Marta Vincenzi, sindaco e diessina pure lei, però rivale storica di Burlando, ha tirato fuori un altro nome molto forte: Paolo Costa, veneziano, ex ministro dei Lavori Pubblici, intimo di Prodi, che potrebbe vincere il braccio di ferro. A patto che si scelga un segretario generale gradito agli operatori. E magari genovese.
La contesa è sanguinosa. Mai però come quella per la guida degli industriali. Che ha visto da un lato Marco Bisagno, uscente e patron dei Cantieri Mariotti; dall’altro Vittorio Malacalza, imprenditore siderurgico (e non solo) che ha appena venduto le sue aziende dell’acciaio a un colosso ucraino, in un settore sempre più globalizzato. Malacalza è sostenuto fortemente da Riccardo Garrone, sino ad ora padre-padrone di Confindustria Genova; Bisagno ha con sé il mondo del porto e la banca di Berneschi.

Le aziende di area pubblica, Finmeccanica di Pier Francesco Guarguaglini e Fincantieri di Giuseppe Bono, hanno appoggiato Remo Pertica, uomo Finmeccanica, pronti però a convergere su Malacalza. Le due cordate se le sono date dialetticamente di santa ragione e, per uscirne, si è dovuti arrivare addirittura al cambio dello statuto. Non è detto che basti.
Se fosse un romanzo, sarebbe decadentismo.

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