GENOVA? A LEZIONE DA COLLEFERRO

GENOVA? A LEZIONE DA COLLEFERRO

Fortunatamente, ci siete voi. Voi, lettori del Giornale di Genova e della Liguria. Voi, famiglia del Giornale di Genova e della Liguria, mi verrebbe da dire. Perchè siete gli unici che, instancabili, andate avanti imperterriti nel rivendicare «via Quattrocchi».
Oddio, non è che state chiedendo la luna. Non è che state chiedendo qualcosa di talmente difficile da ottenere da far pensare a una battaglia utopistica, piuttosto che a un sogno legittimo. State semplicemente chiedendo quello che Walter Veltroni, otttimo sindaco diessino di Roma capace di non abdicare alle leggi elementari dell’umanità, ha concesso in poche ore. State chiedendo quello che la giunta comunale di Assisi, simbolo mondiale della pace, ha deliberato in pochissimi giorni. State chiedendo quello che la città di Milano, che a occhio e croce non sembra un posto più arretrato di Genova, ha deciso senza esitazioni. State chiedendo quello che il Comune di Colleferro ha messo nero su bianco senza bisogno di inutili formalismi o bizantinismi formali.
Ecco, con tutto il rispetto per Colleferro, ridente cittadina laziale, dove fra l’altro si mangia benissimo e l’ospitalità è squisita, che Genova sia ridotta a prendere lezioni da Colleferro, non sembra propriamente una vittoria della nostra città. Così come non è una vittoria che, ancora oggi, all’ordine del giorno del Consiglio comunale non ci sia la mozione per l’intitolazione di una via a Fabrizio Quattrocchi. Mentre addirittura due punti dell’ordine del giorno sono dedicati alla discussione della legge sull’aborto, che non sembra propriamente il compito principale di un’amministrazione comunale, comunque la si pensi sulla legge 194.
Così come non è una vittoria la solitudine nella quale il Giornale sta portando avanti la sua battaglia toponomastica perchè Quattrocchi (e, come chiedono giustamente i radicali, anche Enzo Tortora) abbia una via in uno nome. Nella sua città. Il silenzio degli altri giornali è assordante. Così come sorprende che il direttore del Secolo XIX Lanfranco Vaccari - che pure è una persona molto preparata e intelligente, un uomo libero ed ha dato al suo giornale un’impostazione non unidirezionale - abbia risposto a chi gli chiedeva un suo parere in merito con parole di difficile lettura. Forse troppo impegnato nello studio dell’opera omnia di Piero Ottone, Vaccari ha preferito evitare una risposta diretta su «via Quattrocchi», parlando di «valori condivisi» e dell’Italia spaccata e confusa, «dove il sindaco diessino di Roma, Walter Veltroni, si è aggiudicato l’improbabile corsa a chi arrivava primo a dedicargli una strada. Non è stupefacente che lo abbia fatto il rappresentante di una parte politica che aveva duramente censurato l’attività di Quattrocchi all’epoca del rapimento e dell’esecuzione un anno e mezzo fa.

Quest’episodio e l’accanimento del centro-destra a rivendicare un morto finalmente mondato da ombre fascistoidi rimandano direttamente a un Paese in cui quasi tutto è ancora visto attraverso le lenti deformanti dell’ideologia e dove, fatalmente, è impossibile avere almeno alcuni valori di base condivisi».
Così come è impossibile sapere cosa pensa il direttore del Secolo sul Comune di Genova e sul suo comportamento nel caso Quattrocchi.

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