Cronache

Andrea Gallo, tutto fuorché un «don»

(...) nel comunicato stampa dell'editore Chiarelettere che annunciava l'uscita del suo ultimo libro, nello spettacolo teatrale che ha portato in scena, nella presenza ai festival dei libri, della filosofia, della scienza, delle varie ed eventuali. Oltre che, naturalmente, a tutte le manifestazioni della sinistra più ortodossa, come raccontiamo anche nelle pagine degli interni. «Angelicamente anarchico», come da titolo del libro, come da definizione del suo amico Vasco Rossi.
Perchè il punto è tutto lì. Andrea - «don Andrea» o «don Gallo» sono quasi un brand, un marchio, un corollario non indispensabile - era una rockstar, non un prete. E, come i suoi amici rockstar, da Vasco a Piero Pelù dei Litfiba, si muoveva, ragionava, parlava. Con una passione assoluta, quella per Fabrizio De Andrè, il suo «Faber», gratificato del titolo di «quinto evangelista». E «il vangelo secondo Fabrizio» era proprio la sua citazione più frequente. Che, ovviamente, non ha nulla di ortodosso e non rientra nel libro del catechismo studiato in parrocchia.
Senza mai risparmiarsi: che si trattasse di fare una tirata antiberlusconiana e di non stampare più i suoi libri da Mondadori e dintorni dopo una sentenza (peraltro nemmeno definitiva) su una causa tributaria o che si trattasse di capeggiare una rivolta contro l'apertura di una sala da gioco. Soprattutto, se la testimonial prevista per l'apertura era Nicole Minetti, l'unica peccatrice che non meritava il perdono nel mondo di don Andrea.
Appunto, don Gallo non si risparmiava mai. Sempre sovraesposto mediaticamente e sempre usato (e lieto di farsi usare) da varie parti politiche. Basti pensare a Genova: firmò una sorta di accordo con i centri sociali per l'assegnazione degli spazi con Marta Vincenzi, salvo poi schierarsi pesantemente contro di lei alle primarie ed essere il vero king maker del sindaco Marco Doria, che da oggi sarà molto più debole. Fu festeggiato pubblicamente dalla Regione Liguria di Claudio Burlando (che ieri l'ha celebrato per primo), con tanto di stanziamento ufficiale di giunta, ma poi su twitter lanciava messaggi di passione per Lorenzo Basso, deputato e segretario regionale del Pd che a lungo è stato il competitor interno dello stesso Burlando. Ha votato alle primarie del centrosinistra e si è schierato pesantemente a favore di Nichi Vendola, il suo leader preferito dopo l'abbandono di Fausto Bertinotti, che gli offrì anche un posto in Parlamento. Ma, al momento di votare alle primarie per i candidati, non trascurò nulla e andò a dare la sua preferenza sia a quelle del Pd, che a quelle di Sel. Sfiorando quasi il tris quando, alla fine della campagna elettorale, fu a un passo dall'essere sul palco per il comizio finale di Beppe Grillo a Genova, pur avendo dichiarato il suo voto per i vendoliani e quindi per la coalizione di centrosinistra. Poi, come al solito, si barcamenò, con lettere aperte in cui spiegava la sua scelta. In cui diceva che non c'era, ma era come se ci fosse stato.
Eppure, con i suoi denti che mancavano - lui, amico dei dentisti più ricchi di Genova e non solo dei dentisti - e con il suo immancabile sigaro, con le sue messe celebrate per rendere eterna grazia a Chavez, con i «Bella ciao» cantati in chiesa sventolando fazzoletti rossi e con le sue prediche tutte politiche, don Gallo non riusciva ad essere antipatico. Fuori posto, fazioso, sgradevole per chi ama un minimo di ordine e di rispetto delle forme nella chiesa. Ma lontanissimo, ad esempio, dalle parole sgradevoli di don Farinella, l'altro «prete rosso» di Genova, quello che giustifica gli assalti agli uomini del Pd alleati con Berlusconi, a cui molto più semplicemente augura un funerale.
Ecco, don Gallo non era quella roba lì. Schierato, schieratissimo, urtante, eretico. Ma, alla fine, sempre pronto a tornare nei ranghi di fronte al richiamo di un cardinale. Rispettosissimo, diceva lui, delle gerarchie. Talmente salesiano da costituire un ottimo tandem con il cardinale Tarcisio Bertone, che nell'iconografia della Chiesa è quanto di più lontano possibile da lui. Eppure, interscambiabili e amici.
Qualche settimana fa, insieme, abbiamo fatto una battaglia, sacrosanta, per salvare l'Archivolto e il Modena, splendido teatro messo a rischio anche dai tagli del Comune, del «suo» sindaco Doria. Ma don Gallo, primo in ogni battaglia, era venuto anche lì e si era sgolato, con la solita passione un po' sgangherata. Poi, avevamo iniziato a parlare noialtri e lui si è addormentato per due ore, in prima fila. Dormiva e sorrideva sereno. Col sigaro (stavolta, spento) in bocca e il cappello in testa. Don Gallo, insomma.
Non un parroco, un logo.

Non un prete, una rockstar.

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