La bella storia del «geometra» Domenico Arnuzzo

La bella storia del «geometra» Domenico Arnuzzo

Chi l’avrebbe detto? Che Domenico Arnuzzo, uno dei più significativi campioni targati Sampdoria, allenatore, dirigente calcistico alla Juventus, oggi opinionista di vaglia, si è diplomato geometra? Eppure ciò avvenne nel giugno del 1966, quando il giovane diciannovenne Domenico, uscì vincitore (si fa per dire) dal Vittorio Emanuele con il sospirato diploma.
È così Arnuzzo?
«Sì proprio così. Sono stato uno studente discreto, con la voglia di studiare e con la serietà che mi aveva insegnato mio padre. Andai al Vittorio Emanuele perché era l’istituto più serio».
Cinque anni che ricordi come?
«Cinque anni di sacrifici. Avevo frequentato le scuole medie al Doria, ne ero uscito molto ben preparato. Allora andare all’istituto dei geometri era un bel segnale perché allora la figura del geometra era importante».
Ma avevi già cominciato a giocare a pallone?
«Sì, ero nella Sampdoria dove ho iniziato a quindici anni. Giocavo e studiavo. Non era facile. Uscivo da scuola all’una e un quarto, prendevo il 35, a casa la mamma mi preparava sempre una bistecca e un succo d’arancia. Uscivo, arrivavo a Caricamento dove prendevo il 13 andavo sul «Chiaravagna», campo di Sestri dove ci allenavamo».
I genitori erano d’accordo che tu giocassi o avrebbero preferito che tu studiassi solamente?
«In verità mio padre, che aveva una impresa di costruzioni e per questo ho studiato da geometra, mi diceva molto sinceramente: “Gioca, gioca, che a fare il geometra c’è sempre tempo”».
Perché avevi scelto gli studi da geometra?
«Un po’, come dicevo, perché mio padre avrebbe voluto forse che proseguissi la sua attività e poi perché dal Doria ero uscito con una buona preparazione generale e lo studio del geometra richiedeva anche questa».
Ma la tua vera aspirazione?
«A quell’età davvero non era facile scegliere. Mi ricordo che quando giocavo nel Savona (ero andato in prestito dalla Samp), un bel giorno decisi di fare un concorso per entrare in porto. Una mattina andai a fare il concorso e nel pomeriggio, mi ricordo, giocai con l’Alessandria. Persi, ovviamente, il concorso».
Il diploma fu durissimo...
«Ero agitatissimo, ma per fortuna conoscevo il primo della classe dal quale riuscii a farmi dare tutti gli scritti. Lo “marcavo a uomo” perché tutti volevano da lui le risposte esatte. Ma il mio “marcamento” fu strepitoso. Di lì capii che potevo fare il terzino marcatore in serie A...».
Allora la figura del geometra era molto apprezzata?
«Molto, perché era un titolo che garantiva lavoro, occupazione ed anche una certa dignità. Le ragazze preferivano andare con i geometri che, ad esempio, i ragionieri...».
Insomma i tuoi ricordi da geometra sono piacevoli...
«Sì, furono anni importanti per la mia formazione, anche culturale. Tu pensa che alcuni miei amici volevano i biglietti da visita con scritto “Geometra” come segno distintivo...».
Però il calcio ti ha plagiato...


«Si, ma è stata la formazione che mi ha dato l’istituto geometri ed in particolare i professori dell’indimenticabile Vittorio Emanuele a rendermi molto responsabile e consapevole».
Ma allora come ti devo chiamare, geometra o terzino di fascia?
«...geometra di fascia!!!».

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