Cronache

La Diaz e i doppiopesisti della giustizia

La Diaz e i doppiopesisti della giustizia

(...) Credo che la differenza fra un comunista (ex, post, ecc, ecc) e un liberale sia e debba essere proprio questa: non piegare le valutazioni sui fatti ai propri interessi contingenti. E, anzi, essere più tolleranti nei confronti degli avversari piuttosto che degli amici.
Invece. Invece, appena il presidente della quinta sezione penale della Cassazione Giuliana Ferrua, conosciuta da tutti come un magistrato integerrimo e non certo morbido con i cattivi, ha reso noto che la sentenza per i processi ai superpoliziotti per la Diaz slitterà al 5 luglio (parliamo di venti giorni rispetto alla previsione iniziale del 15 giugno, non di un rinvio alle calende greche), si è scatenato l’inferno delle dichiarazioni, la più benevola delle quali è «vergogna!». Oppure, alcuni avvocati di parte civile hanno spiegato che il rinvio di venti giorni era intollerabilmente eccessivo.
Ma è mai possibile? Ma si può montare un caso sull’attentato alla democrazia per il rinvio di una sentenza di tre settimane? Fra l’altro, non stiamo parlando di assoluzioni vergognose o di magistrati che nascondono le prove, ma di un rinvio. E dirò di più: qualsiasi sarà la sentenza, noi la rispetteremo e speriamo che tutti facciano altrettanto. Anche i parenti delle vittime, che vanno ovviamente compresi più di tutti, ma a cui auguriamo che lottino per la Giustizia e non per una giustizia. E fra i due concetti, solo apparentemente simili, c’è un abisso.
Fra l’altro, nelle tre settimane, magari i superpoliziotti possono portare a casa qualche altro risultato: fra i processati c’è chi ha arrestato Provenzano e chi è stato decisivo per scoprire il colpevole della bomba a scuola a Brindisi. Il che non vuol dire che questi ottimi risultati nella lotta alla criminalità permettano l’impunità su qualsiasi altra vicenda. Ci mancherebbe: la responsabilità penale è personale e commisurata al singolo caso in esame, siamo all’abc del diritto. Ma, allo stesso modo, e con la stessa onestà intellettuale, vogliamo dire che non siamo in presenza dei peggiori delinquenti esistenti in natura? Forse è il caso di dirlo, visto che viene detto troppo poco.
Soprattutto, è il caso di dire che - nonostante tante, troppe, coperture e depistaggi in tutta questa vicenda - la Polizia ha dimostrato di avere comunque gli anticorpi al proprio interno: la condanna di un agente per violenza sessuale nelle camere di sicurezza della questura dopo che già era stato coinvolto nelle terribili violenze di Bolzaneto, è un segno che dà fiducia nella giustizia italiana, ma anche nelle forze dell’ordine e nella loro capacità di autodifesa da un lato e di autotutela dall’altro.
Allo stesso modo, ribadisco che la Diaz è stata una pagina nera per la Polizia italiana e che le violenze che emergono dai processi sono inaccettabili. E ancor più inaccettabile è che queste violenze siano venute da uomini in divisa che, se colpevoli, hanno disonorato la loro divisa. Ma il punto sta proprio nell’inciso: «se colpevoli». In una situazione simile, dove la catena di comando era completamente saltata e parevano esserci linee diversissime, è certo che i colpevoli siano i capi individuati?
A dare la risposta deve essere la Cassazione. E non i tribunali del popolo. Così come deve essere la Cassazione a dare una risposta il 13 luglio (la data fissata è per ora questa e metto nero su bianco che non griderò allo scandalo o al golpe se slitterà di venti giorni per dare più diritti alle difese) per definire la posizione dei dieci condannati in primo e in secondo grado per devastazione e saccheggio che, oggi, sono nella stessa identica posizione processuale dei superpoliziotti. Anche se non hanno mai arrestato Provenzano e catturato Vantaggiato. Segno che pesi e contrappesi della giustizia funzionano.
Detto questo, però, ribadisco: non sono accettabili doppiopesismi. In quei giorni, la città è stata violentata e offesa, distrutta, ridotta a campo di battaglia da parte di violenti spesso protetti da una parte del movimento, quantomeno distratto, come mostra bene anche un film come Diaz di Daniele Vicari, certo non un celerino o un apologeta dei reparti mobili. E decine di migliaia di genovesi sono stati letteralmente espropriati della loro città e ridotti a prigionieri nelle proprie case per proteggersi da una violenza fisica e morale.
Ed è incredibile che le istituzioni di Genova non urlino con la stessa forza con cui (giustamente) chiedono giustizia per la Diaz, che serve la stessa giustizia per Genova.


Ecco, la mia battaglia è questa: giustizia (anche) per Genova.
(2-fine)

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