Cronache

Giorgio Gallione festeggia 30 anni di regia con una mostra piena di tante nuove idee

Per i 30 anni di regia di Giorgio Gallione, al Ducale, nella Loggia degli Abati, fino al 9 dicembre, è allestita la mostra «Un'Idea di Teatro/un Teatro di idee». Con una parete, in fondo al corridoio centrale della mostra, in cui alcune foto di spettacoli spiccano su fogli del Giornale. Suggestivo effetto il vederli rovesciati, accostati in pagine interne ed editoriali. Mostra fantasiosa, coloratissima: foto, installazioni, manifesti, vetrinette per i 125 spettacoli del regista. Non a caso, Guido Fiorato, lo scenografo che da sempre lavora con l'Archivolto, l'ha realizzata su caratteristici elementi scenici degli spettacoli del regista. È un omaggio a «una leggerezza con pensosità» (parole di Calvino riguardo l'opera di Gallione), che meglio ci fa capire la realtà dura e fin il sociale. Non a caso, Eugenio Buonaccorsi, docente di Teatro, nel catalogo della mostra, sceglie analoghe parole di Hofmannsthal: «La profondità va nascosta. Dove? Alla superficie». Ad accogliere il visitatore la parete di sinistra con manifesti di spettacoli: Le farfalle di Montale, Un concerto tra Borges e Piazzolla, Il bar sotto il mare di Benni, Il Circo di Pimpa, Cipputi, cronache del Bel Paese... Nell'atrio l'installazione Foresta di alberi di Spoon River con rimando a Fabrizio De André: «Non al denaro, non all'amore, né al cielo...», in cui la Liguria anni '40 appare «piena di malviventi sardi quasi marinai di foresta». Oltre a De André Gallione ha portato in scena Gaber e Buscaglione, anzi le sue «intraprese» spaziano dall'opera lirica (da Verdi a Puccini, Philip Glass, Marco Tutino), al teatro-danza, alla televisione. Per la letteratura, tra gli autori di Gallione: Pennac (in mostra il richiamo alla messa in scena di Lunga notte del Dottor Galvan con inquietanti radiografie pure impiegate per un testo di Joe Orton), Borges, Pasolini, Saramago. La storia dell'Archivolto è anche nel sodalizio tra Pina Rando e Gallione «gli outsiders che nell'86 volevano svecchiare il Teatro a Genova» come ha scritto di loro Buonaccorsi .

Di Gallione il professore mette in risalto come abbia operato con uno stile «di scandaglio di contenuti psichici collettivi e risentita vis civile», mettendo a nudo «il contagio di miti cariati dal consumismo».

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