Malacalza, e i salotti buoni. Di casa sua

Malacalza, e i salotti buoni. Di casa sua

(...) della Fonsai, del Montepaschi e di varie ed eventuali, soprattutto di tutto ciò che ha un grande valore e può costituire un ghiotto bocconcino per l’economia e la finanza italiane. Fra l’altro, non è che citare Vittorio Malacalza e i suoi figli Davide e Mattia sia un simpatico vezzo dei giornalisti economici che usano i loro nomi che fossero un intercalare. Semplicemente, sanno che il gruppo che fa capo all’imprenditore originario di Bobbio e innamorato di Genova è uno dei più strutturati esistenti sul mercato italiano, dotato di una liquidità e di una serietà manageriale in grado di ambire a qualsiasi partita ci sia in giro. Soprattutto, a fare la differenza, è stata la facilità con cui Vittorio è diventato l’uomo forte di Camfin, la finanziaria della Pirelli, quasi un Tronchetti (Provera) della felicità per gli azionisti dell’azienda. E anche il suo ingresso nel consiglio di Rcs è stato trionfale, a cui però è seguito un lungo silenzio. Segno che Vittorio si è probabilmente accorto che si tratta di questioni molto più finanziarie che industriali. E per lui, vero capitano d’azienda, innamorato del profumo della fabbrica, legato a un modello fordista nel senso bello che la parola sa avere, capace di svitare personalmente bulloni e di trattare direttamente con i suoi operai, che difatti lo amano particolarmente, è un peccato originale.
Io stesso, credo di essere al terzo o al quarto articolo dedicato al patron di Hofima, holding di via XII Ottobre da cui discendono, fra l’altro, i magneti di Asg, i superconduttori di Columbus e il biomedicale di Paramed. Tutta roba ad altissima specializzazione tecnologica. Tutta roba che è qualcosa di cui vantarsi per Genova e per la Liguria. Ma anche tutta roba che, rigorosamente, secondo la specialità della casa-Genova, tendiamo a sminuire, come tutte le eccellenze locali. Cercando magari di trovare il pelo nell’uovo, anche se il pelo non c’è. Soprattutto, questo lo fanno quelli che non hanno l’uovo. A Roma, dove sono dei maestri nel coniare un linguaggio immaginifico, li chiamerebbero rosiconi; quelli un po’ più colti tirerebbero fuori la citazione de La volpe e l’uva. Insomma, altro che i miei tre o quattro articoli. Raccontare il ruolo di Malacalza e la sua importanza, anche occupazionale, con centinaia e centinaia di posti di lavoro, per Genova e la Liguria (si pensi all’operazione Asg alla Spezia), meriterebbe un inserto ad hoc.
Comunque, dicevamo, da qualche settimana, le notizie sulle presunte acquisizioni di aziende da parte della famiglia Malacalza hanno subito un deciso rallentamento. Segno che, probabilmente, c’è qualcosa che bolle davvero in pentola. Lui, il capostipite, dal canto suo, sorride sornione con il suo sguardo straordinario che è quasi il racconto di un gatto che ha appena mangiato un topo e se lo gode con un piacere incredibile. Ecco, qui di topi non ce ne sono, ma il gusto con cui Vittorio maltratta il suo amatissimo sigaro è qualcosa che vale la pena di essere raccontato. Così come i suoi occhi. Occhi che ridono e non potrei fargli complimento più bello, soprattutto a Genova.
Soprattutto, raccontare Malacalza è raccontare uno abituato a fare con i mercati internazionali che non disdegna i mercati rionali. E così quasi certamente questa sera sarà possibile incontrarlo allo stadio, in qualità di amico di Duccio Garrone e di innamorato del calcio, lui interista, ma non è da escludere di trovarlo un giorno nel board delle vette finanziarie e il giorno dopo a passeggio per il mercato di piazza Palermo.
E il bello è che tutto questo non è un atteggiamento, un vezzo come il maglioncino marchionnesco o il treno del primo giorno montiano, ma proprio il suo modo di essere. Tanto che il massimo della mondanità raggiunta da Malacalza è lo scopone o la cirulla sui tavoli dell’Europa. E, quando si è parlato del suo ingresso nei «salotti buoni», Vittorio ha sorriso riconoscendo in quella definizione solo quelli delle sue case. A Genova, come a Bobbio.
Il resto, per l’appunto, lo fanno gli occhi di Vittorio, che sorridono. Lo sguardo sornione e una moglie (e una mamma, nel caso di Davide e Mattia) come la signora Melina, qualcosa che vale di più di mille stock option e che è il vero valore aggiunto della famiglia. Una che - a differenza di tante first lady genovesi, più impegnate a fare le vasche fra via Roma, la galleria Mazzini e via Venti (quest’ultima quando vogliono fare un bagno in mezzo al «popolo»), con colletti inamidati e twin set rigorosamente degli stessi tre negozi - ha il suo habitat preferenziale a Bobbio, a casa sua. Con il «Bobbio film festival», la rassegna annuale curata da suo cugino Marco Bellocchio, come appuntamento mondano dell’anno.


Per la cronaca, si tratta di un ciclo che andrà in scena al chiostro di san Colombano di Bobbio dal 21 luglio al 4 agosto, in cui i registi più famosi presentano i loro film e ne discutono con il pubblico. C’è pure la commedia, senza snobismi. Infatti, ci sono anche Melina e Vittorio.

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