Proprio perché a Genova abbiamo due tifoserie tra le meno violente e prevaricatrici d'Italia, da Genova deve levarsi il consenso più alto alle misure più drastiche; ma intelligenti. Fare calcio a porte chiuse, tanto per dire, costituirebbe esclusivo vantaggio di chi vuole lo sfacelo. Semmai, per far sì che le nuove regole possano trovare perfetta applicazione, si riducano le capienze secondo opportunità. Il nostro è un Paese in crisi che non può assolutamente permettersi di condannare a morte la sua quinta realtà industriale. E tutti i cittadini per bene, bambini compresi, hanno il sacrosanto diritto di poter assistere in pace a una partita di calcio. Dal governo della Repubblica pretendiamo che le due giornate di stop generale opportunamente sanzionate dalla Federcalcio partoriscano un decreto legge che ricalchi effettivamente il «Football Violence Act» grazie al quale Margaret Thatcher, la mai abbastanza rimpianta Lady di ferro, riuscì a stroncare il mortifero fenomeno degli hooligans in Gran Bretagna. E dal parlamento esigiamo che per una volta venga poi messa in fuorigioco la massa degli «onorevoli» tifosi (del proprio bacino di voti) che in sede di conversione in legge, confortata da sociologi da palcoscenico se non da strapazzo, ad esclusivo vantaggio degli eversori tradizionalmente riesce ad annacquare qualsiasi tentativo di ricondurre all'ordine il fenomeno calcio.
Lo vado scrivendo e dicendo da anni: uno Stato costretto a impegnare diecimila tutori dell'ordine per mandare in scena un turno di calendario di un campionato di calcio è un'entità in sfacelo. Si trovi la forza di appoggiare senza riserve una salvifica inversione di tendenza.
Personalmente reputo che siano 5 i punti ineludibili.
Punto primo. Basilare. Vietare le trasferte organizzate, che si risolvono nell'avvilente spettacolo di squadroni di poliziotti cow boys pagati (poco) dalla collettività per scortare mandrie di tifosi quadrupedi fino alle gabbie della loro mortificazione; che permettono ai delinquenti di devastare impunemente stadi, treni, autogrill, tanto paga la collettività. Non conta dire: «Noi siamo diversi; perché dobbiamo pagare per gli altri?». Se è forza maggiore adeguarsi ai tempi, adeguiamoci. Ognuno resti infine a casa propria. Chi vorrà andare in trasferta e troverà i biglietti d'ingresso allo stadio, d'ora in poi si serva di treno o auto come al tempo in cui il calcio era occasione di svago, turismo e divertimento.
Punto secondo. Sia garantita la certezza della pena. Chi viene individuato a delinquere nello stadio o fuori va fermato e giudicato per direttissima e autenticamente messo in condizione di non nuocere.
Punto terzo. Si tutelino in maniera assoluta le società che coraggiosamente resistono ai ricatti e alle minacce delle frange violente del tifo organizzato o comunque appaiono finalmente decise a troncare i legami perversi, perché sotto questo profilo la responsabilità oggettiva può addirittura favorire i ricattatori. Per contro si puniscano duramente, fino ad escluderle dal gioco, le società che non riescono a sottrarsi al miserevole andazzo generale.
Punto quarto. Decisivo. Poiché sarebbe iniquo e comunque micidiale pretendere che le società gestiscano in esclusiva l'ordine pubblico nello stadio di proprietà comunale, lo Stato favorisca infine la costruzione di moderni stadi privati polivalenti e polifunzionali da non più di 30-40 mila spettatori con posti a sedere, numerati, nominativi, senza recinzione di griglie o cristalli fra terreno di gioco e spalti, con posti riservati a bambini e disabili per l'intero perimetro del bordocampo. Non più dunque fallimentari cattedrali nel deserto, bensì impianti in grado di produrre ricchezza sette giorni su sette, sicché sia infine corretta la pretesa che siano appunto le società a gestire l'ordine pubblico interno con qualificati stewards in numero adeguato. Allora sì che poliziotti e carabinieri potranno restare cautelativamente fuori, in numero di gran lunga inferiore all'attuale, per intervenire solo, su segnalazione degli stewards, in caso di necessità.
Punto quinto. Introdurre la materia di «Educazione civica» a scuola, a cominciare dall'asilo e fino all'ultimo anno di media superiore.
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