di Remo Viazzi
C'è un vizio d'origine nell'affermazione resa da Mario Monti qualche giorno fa a un giornalista russo: non sussiste, infatti, alcuna distinzione tra politico e statista. O meglio: essere statista non può che implicare, ipso facto, l'essere politico, anche se non è vero l'opposto: si può, cioè, essere politici tutta la vita senza mai avere l'opportunità di essere statisti. Che tra i due termini non ci sia iato alcuno lo dimostra l'etimologia stessa della parola politico, che viene da polis, dalla quale è nata a sua volta la parola politica, in tutte le sue figure possibili. Per noi, però, la polis greca non è sinonimo di città, quanto semmai di città-stato, se non addirittura, semplicemente, di stato. Ciò che è stato, in definitiva, non può che essere «politico» e il politico, colui che si occupa della polis, cioè dello stato, è sempre chi si occupa della res publica: bisognerà che Monti se ne faccia una ragione!
In ogni caso, dire che «mentre il politico pensa alle prossime elezioni, lo statista invece pensa alle prossime generazioni», per quanto sia una frase di bell'effetto, non porta da nessuna parte, non risolve alcun problema, anzi ne alimenta uno di importanza capitale. Per tutti quelli a cui sta a cuore la democrazia la ricerca del consenso riveste un ruolo fondamentale, è, infatti, ciò che legittima l'esercizio del potere. Contrapporre lo statista al politico è sbagliato e pericoloso. Che cosa vuole dire Monti? Che le elezioni sono uno strumento inutile? Che egli da quelle può (potrà) prescindere? Siamo forse di fronte a un nuovo «unto del Signore» o forse qualcosa di peggio ancora? La ricerca del consenso, lavorare in vista delle prossime elezioni, è il sale della democrazia e a votare va il popolo, il demos, per cui la democrazia è «potere del popolo». Se poi vi è discrepanza tra bene-utile dei contemporanei e bene-utile delle generazioni future non è certo colpa che può essere addebitata al «politico», se non appunto in quanto espressione, attraverso il voto, della volontà della generazione di oggi. Asceso con modalità discutibili e poco «ortodosse» alla carica di Presidente del Consiglio in qualità di «tecnico», Monti è diventato, fin dal momento del voto di fiducia del Parlamento che ha ratificato la nascita del suo Governo, un uomo «politico», per quanto «imperfetto». Continuare a sparare addosso alla politica (per esempio, i pessimi risultati che il suo Governo sta ottenendo sarebbero - a suo dire - da imputare alle troppe turbolenze e alla litigiosità dei parlamentari) non è sensato ed è anche poco rispettoso nei confronti di chi da oltre otto mesi lo sostiene.
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