Cronache

Se l'entrata al museo è un muro di scritte

Gio.Andrea Doria vi arrivava direttamente una volta sbarcato dalle galee, senza nemmeno passare da Genova, città con cui aveva un rapporto «difficile». Entrava nell'atrio della villa, salutava i suoi soldati e si incamminava verso le altre stanze. Educato dal principe Andrea Doria e destinato a succedergli, dopo la morte del padre Giannettino Doria, dall'età di otto anni Gio.Andrea era stato portato in mare perché si abituasse al futuro ruolo di ammiraglio, e una volta divenuto il padrone di questa dimora rinascimentale, amava trascorrvi buona parte dell'anno.
Inchiesta sui musei civici di Genova, la quinta tappa è al Museo Navale di Pegli, nella Villa Centurione Doria, dove - si legge nella brochure - sono ospitate collezioni marittime genovesi, reperti di archeologia sottomarina, carte nautiche, modelli navali, vedute seicentesche per far fare ai visitatori un viaggio nel mondo dello sviluppo della navigazione e della marineria.
Ma prima ancora di varcare la soglia dell'istituto, il primo impatto è all'esterno, con i muri del Museo pieni di scritte di ogni tipo, insulti, messaggi d'amore, di fede calcistica e politica. Così come “vergato” è anche l'antico pozzo di fronte all'ingresso principale della villa.
Entriamo e dopo aver sbrigato le procedure di rito con i custodi, saliamo una scalinta di gradini neri e piuttosto sporchi. Il primo piano è occupato da una mostra di un fotografo genovese. Un allestimento provvisorio, non solo nel tempo, ma anche nelle modalità d'esposizione delle fotografie. Appiccicate in maniera approssimativa, per essere benevoli, a pannelli di legno vecchi, instabili e con i segni di scotch di precedenti rassegne. Le targhette che dovrebbero spiegare al visitatore quello che vede, sono scritte su pezzi di carta, attaccati ai pannelli in modo altrettanto sciatto. L'illuminazione è pessima, e per riuscire a guardare i volti o le immagini degli scatti, bisogna trovare l'angolazione giusta per evitare il riflesso delle lampade.
Procediamo, nella speranza che si tratti soltanto di un esordio poco felice. Ma la sala successiva - adibita probabilmente a conferenze - è una spianata di sedie con un tavolo in fondo, davanti a una parete vuota, sporca dove l'unico segno dell'arte e della storia navale, è una targhetta di un dipinto, olio su tela, di Aurelio Craffonara sul porto di Genova. Ovviamente senza il quadro, ca va sans dire.
Sulla sinistra, si apre una saletta con incisioni in carta di navi, cantieri, la rada di Napoli, la città di Tolone e un modello di fregata a due ponti. Il custode ci mostra un antico portone in legno vecchio che veniva usato in caso di assalto, come uscita di emergenza. I padroni di casa si rifugiavano nella torretta di fronte all'edificio, dove ora c'è un centro di spelologia.
Proseguiamo il tour, e andando avanti l'impressione migliora. La stanza con i modellini e gli attrezzi della navagazione è molto bella e ben tenuta, così come quella in cui viene ricostruita una bottega del velaio, fabbricante di bandiere e salvagenti. Ci sono macchine per cucire, corde, cerate. Accanto è stato riprodotto anche l'ufficio dell'armatore con mappamondo, scrittorio e libreria. Basta alzare lo sguardo per vedere i soffitti affrescati da Nicolosio Granello che accompagnano la visita in ogni parte del palazzo. Nella sala delle costruzioni della navi, uno scafo è appoggiato al muro, non si sa bene perché. Mentre in quella delle mappe con l'isola di Tabarca e della Corsica, una carta nautica nasconde le poche righe di spiegazione, rendendole di fatto illeggibili. Ci rifacciamo gli occhi con la riproduzione in legno di una galea, e poi li riperdiamo nella cappella affrescata, con spuntoni di ferro arrugginito che escono dalle pareti e restituiscono subito quell'aria di trascuratezza e poca cura dell'inizio. Prima di uscire, chiediamo al custode se c'è un ingresso per disabili, vista la scalinata di accesso. «Cosa vuole che le dica, sono palazzi vecchi questi». Visitatori, zero. Custodi: due.
Lasciamo Villa Centurione Doria per il Museo Archeologico, sempre a Pegli. E dopo un viale alberato, arriviamo nel piazzale dell'edificio dove ci accoglie un cantiere per lavori di restauro del Museo. Il cartello dice che sono iniziati il 4 ottobre. La facciata esterna del palazzo è cadente, le persiane alle finestre spaccate. Entriamo all'interno e ci accoglie una signorina in ciabatte che senza staccare l'orecchio dal telefono controlla i biglietti. Attraversiamo una passatoia di feltro grigia lurida, attaccata a terra con del nastro. Sarà qui per i lavori, sicuramente. Ma l'impatto è comunque brutto e trasandato. Il materiale conservato all'interno del Museo è tanto e agli appassionati offre spunti e curiosità. Ci sono i resti degli animali preistorici, dell'orso delle caverne, utensili, pietre e strumenti di caccia dell'uomo di Neanderthal e dell'homo sapiens sapiens. Nella seconda sala, sopra alla pianta delle Caverne delle Arene candide, c'è un'impalcatura che sembra lì da secoli. Intorno muri scrostati, bacheche senza targhette. La sala più bella è sicuramente quella egizia con il sarcofago dipinto e la mummia del sacerdote Pasherienaset. Al primo piano, una sezione dedicata all'archeologia ligure, con le tavole dei confini dei territori di Genova.

Anche qui, le spiegazioni sono scritte in argento su pannelli verdi che rendono particolarmente difficoltosa la lettura. Peccato, e non solo per i pannelli. Lasciamo l'archeologico con il solito bilancio: visitatori, oltre noi, zero.
(5 - continua)

Commenti