(...) Il presidente del Genoa ha rilasciato domenica sera una delle più belle interviste, a caldo, da quando è qui. Ha dato una lezione di stile a quelli che si definiscono chic persino se parcheggiano un Suv maculato sui binari del tram. Ha ammesso di aver meritato la sconfitta, perché era vero. Ha riconosciuto i meriti di chi faceva il sostenuto per non essere stato sfacciatamente aiutato come magari accadeva in passato, perché non si può sempre dire di essere più forti. Ha però difeso il Genoa da chi gridava al furto, perché i torti arbitrali subiti dal Grifone erano pari se non superiori a quelli subiti dallavversario. E ha detto di non essersi divertito a vedere la sua squadra annaspare contro un avversario che nellultimo mese ha salvato a fatica la ghirba sui campi di mezza Italia. Cioè ha detto di non essersi certo divertito. Esattamente le stesse cose che certi tifosi gli hanno scritto su uno striscione apparso in Gradinata Nord, solo che ora quegli stessi tifosi magari lo contestano perché non avrebbe dovuto dirle.
Un ritornello abusato vuole che nel calcio paghi sempre lallenatore che comunque, male che vada, lo stipendio promesso lo prende anche se per un anno se la spassa ai Caraibi. Al Genoa invece la colpa è sempre del presidente, che bene che vada, gli stipendi li deve pagare sempre a tutti, compresi quelli che magari hanno le colpe maggiori.
Ma quale sarebbe stato il torto di Preziosi? Di dire che il Genoa ha fatto la figura del pugile suonato alle corde, per fortuna salvato dal gong? Che la sconfitta ci stava? Che spera «di vedere presto altri punti conquistati meritatamente con il bel gioco»? Queste cose, evidentemente, le poteva dire solo quando lallenatore era ancora Malesani, sul quale si potevano scaricare anche le colpe di Fabbri che guidò lItalia alla disfatta con la Corea. Allora chissà perché era legittimo delegittimare un allenatore che, per inciso, dovrebbe invece essere ringraziato per tutto il campionato, visti quei 21 punti in 16 partite (senza Gilardino, Biondini e Sculli) che consentono ora al Genoa di Marino di viaggiare a una media retrocessione ma di chiudere la stagione con relativa serenità.
Ora invece Preziosi non può dire quel che ci si ostina a non vedere. Che cioè il Genoa è una squadra che inizia lazione col rilancio lungo di Frey o dei difensori (e non a caso se non cè Gila sono dolori), che spera in Palacio e che ogni maledetta domenica mette capitan Marco Rossi a rischio di brutte figure, perché il terzino lo può fare in emergenza una volta, non sempre, anche quando in panchina ci sono difensori di ruolo. Quando il presidente era lontano da Genova per motivi di lavoro, la colpa delle «imbarcate» prese fuori casa e al Ferraris erano le sue perché lassenza del capo si faceva sentire. Perché non strigliava la squadra. Adesso la colpa è ovviamente sua perché non si striglia così la squadra e il suo allenatore.
È un po come la favoletta di Malesani che non allenava abbastanza la squadra, che a Pegli sembravano tutti in gita scolastica e che i giocatori difendevano il mister solo perché non li faceva faticare. Queste cose si potevano dire, perché evidentemente facevano bene allambiente. Mentre oggi guai a dire che il Genoa non ce la faceva già più alla metà del secondo tempo. O che ci sono giocatori che su Twitter scrivono «La pazienza ha un limite».
Preziosi ha detto quello che pensava. Ma evidentemente nel calcio chi chiede sincerità poi si augura di sentirsi raccontare solo balle politicamente corrette. Se un presidente ammette di aver sbagliato, gli si può dire che è lora che la finisca di sbagliare. Ma se dice che ha sbagliato anche qualcun altro (che invece scusa non lo chiede), ha comunque torto.
La prossima volta, caro presidente, dica che il Genoa meritava di vincere, che la Juventus ha rubato il punto e che Rizzoli non ha mai arbitrato una partita così bene. Se invece, nel frattempo, avesse già trovato laccordo non con Gasperini ma con un altro Gasperini... beh, si aspetti altre critiche.