Staglieno, il cimitero dove neppure i morti hanno pace

Staglieno, il cimitero dove neppure i morti hanno pace

(...) Ma l’attenzione e la cura per ciò che è prezioso valgono per l’estero, appunto. Qui siamo in Italia, a Genova.
E quindi? Quindi dietro il portone dell’ingresso principale che viene aperto soltanto ai Santi, a Natale e a Pasqua, c’è una pila di bare di legno. Accatastate una sull’altra senza alcuna cura, coperte per metà da un telo sporco di plastica verde. Sono quelle che serviranno per la cremazione, e nell’attesa di essere usate, questo è il deposito. Posticcio, provvisorio, irrispettoso. Per terra, accanto alle casse, quasi in segno di sfregio verso i morti che ci andranno a stare, cartacce di plastica e tubi arrugginiti. Ma è davvero questo un paese, una città civile?
Milly, 75 anni e la grinta di una leonessa, ha iniziato la sua battaglia contro il degrado di Staglieno, quando le conseguenze dell’incuria le ha patite sulla propria pelle. «Ero appena tornata da un viaggio, sono venuta a trovare i miei nonni che erano sepolti qui da 30 anni. E non li ho più trovati». C’era da rinnovare la concessione, suo marito si era attivato per sbrigare tutte le pratiche. Poi la sorpresa, terribile.
«Io non so dove sono andati a finire. Me li hanno buttati via nella spazzatura, non mi hanno detto niente». Non una parola, una telefonata, una lettera, un avviso. Non un cenno di consolazione, quando lei è andata a protestare, non un tentativo di porre rimedio a un errore imperdonabile. Niente di niente. Ma è questa la pietà per i morti?
Alle gallerie laterali appena dopo l’ingresso principale, si sale con una scala. Le hanno «restaurate» da poco, con tutto quel che ha significato fare i lavori. Disagi per i visitatori per la chiusura di sei mesi della galleria e chissà quanti soldi impiegati per l’intervento. Ed ecco il risultato: un controsoffitto di teli sui quali, dall’alto cadono ancora i calcinacci eche fanno da rete di raccolta per ogni genere di rifiuti.
Mentre sul pavimento in marmo, dove si cammina, sembrano secoli che nessuno viene a pulirlo.
«Vedi lì, dove è più lucido? Sono i privati che provvedono da soli e a loro spese. Io pago 500 euro all’anno per farmi fare la pulizia davanti alla tomba» spiega Milly, indicando i pochi pezzi di marmo bianchi.
Percorrendo la galleria fino alla fine, e scendendo dall’altro lato della scala, sembra trascorsa un’eternità dall’ultima volta che un addetto alla manutenzione è passato di qui. Quantomeno per rendersi conto in che stato è ridotto questo povero cimitero. I gradini sono un tappeto di escrementi di piccione. Il pavimento idem, si cammina in mezzo al guano secco dei volatili.
Al piano inferiore, nella galleria di Levante, gli uccelli nelle arcate e sopra i lumini e i portafiori per i defunti, ci hanno fatto il nido. Non c’è traccia di cura umana, non c’è traccia di manutenzione, di decoro, di pulizia.
Ci sono le tombe senza lapidi, croci spaccate e appoggiate ai muri, transenne in mezzo al passaggio ad indicare l’avvio di lavori mai iniziati. Soffitti scrostati, statue coperte da strati decennali di polvere, fiori morti, vasi rotti, vasi rovesciati e lasciati a terra, lumini a terra, piastrelle sollevate e spaccate. Sporco, degrado e incuria. Nei vialetti all’aperto fontanelle arrugginite, pezzi di ferro abbandonati per terra, rifiuti e sporcizia. Sporco, degrado e incuria.
Mentre tutt’intorno il panorama racconta di un luogo diverso, magico. Dove i morti hanno diritto a riposare in pace, cullati dai pini e protetti dall’abbraccio generoso delle colline. Dove i segni del rispetto, della cura e del ricordo verso coloro che sono scomparsi, dovrebbe essere evidente ad ogni passo e non il contrario. In un posto così, anzi in quello che dovrebbe essere e diventare un posto così, la morte farebbe molta meno paura.
La signora Milly si sistema i grandi occhiali da sole sugli occhi. Si fa il segno della croce, prima di uscire dal suo Staglieno. Ci tornerà qui la prossima settimana o tra due, come ha fatto in tutti questi anni nei quali ha assistito a un lento abbandono.

Si volta indietro verso il portone principale, lo guarda come se quello fosse l’accesso a un mondo sacro, e in fondo un po’ è così. Poi si ricorda che dietro a quelle lastre di ferro, ci sono le pile abbandonate delle casse per la cremazione. Riprende tutta la sua grinta da leonessa e si domanda per l’ennesima volta: «È questa una città civile?».

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