Genovesi al sole ostaggio delle bande

Roberta Gallo

Guerriglia urbana a Punta Vagno. Una banda di maghrebini e un gruppo di rumeni si sono tirati bottiglie nel piccolo arenile ai piedi di Corso Italia. Sotto gli occhi attoniti dei bagnanti, i marocchini dagli scogli, quelli dell'est dal mare, si sono affrontati a colpi di «vetro» per buoni dieci minuti. Finchè i nordafricani non hanno battuto ritirata come un gruppo di apache arrampicandosi su per le rocce fino alla soprastante passeggiata. Lasciando spaventate e stupite tutte le persone, chi con bambini, che stavano tranquillamente prendendo il sole.
La piccola spiaggetta, un tempo rimessaggio delle barche dei vecchi pescatori genovesi, ha perso completamente la cocina di Gilberto Govi. Oramai è pattugliata, giorno e notte, da orde di ragazzini maghrebini che lì hanno impiantato il loro quartier generale. Minorenni che non lavorano, non vanno a scuola, ma passano la loro giornata sull'arenile della Foce. Probabilmente anche loro vanno in pausa, tra la vendita ambulante di fazzolettini di carta, cd «piratati» e la pulitura di vetri ai semafori della città. Si siedono sugli scogli che dominano la spiaggia e da lì gestiscono la situazione. Spesso, muniti di tamburi e bonghi, suonano tutto il tempo ritmi africani. Stare lì sdraiati ad occhi chiusi, si passa dal credersi su una spiaggia di Jerba, all'essere in una tenda beduina con i berberi che uluano al di fuori. L'esibizione da vero suq può andare avanti per delle ore, senza che nessun bagnante sottostante abbia il coraggio di alzarsi a dire loro di smetterla.
Da buoni genovesi, da un asciugamano all'altro, serpeggia il «mugugno» più feroce. Nessuno però si avvicina a quei ragazzini, dai volti scuri, i ciondoli a pistola appesi al collo, l'aria da rapper del Bronx. Il suono ritmato dei loro tamburi accompagna l'intero pomeriggio. I «Vucumprà» che passano, si fermano ad ascoltare il suono di casa, sorridendo ai conterranei e scambiando qualche parola nella loro lingua.
Ma, al di sotto, non sempre ci sono italiani stesi sugli asciugamani. Una folta comunità di uomini e donne dell'est, bevono fino all'impossibile cartoncini di «Tavernello», accompagnati da bottiglie di superalcolici. «Imbenzinati» a dovere, spesso in mutande, si buttano nelle acque putride del mare. Al fianco convivono famiglie di sudamericani che portano sempre forniti di borsoni carichi di cibo per loro e la tribù di bambini che si portano appresso.
A completare il quadro, arrivano i soliti bulli di quartiere, muniti di cani «mordaci». Entrano in spiaggia a petto nudo mostrando fisici palestrati e tatuaggi da veri duri. Trovato il luogo in cui posizionarsi, liberano i cani e lasciano scorazzare in libertà quella belva che fino a cinque minuti prima tenevano legata ad un guinzaglio con le borchie. Asserendo «ma è bravo, non fa niente». E intanto il «quattrozampe» corre sollevando sabbia, si lancia nel mare, bagnando chi è in riva a prendere il sole. Dramma quando incontra un altro cane. La lotta è assicurata. In tutto questo i vigili, che in via Marconi e corso Italia impazzano a dare le multe a macchine e motorini, latitano.

Non ci pensano nemmeno a scendere in questo girone dantesco pieno di dannati di qualsiasi nazionalità. E Punta Vagno, giorno dopo giorno, si trasforma sempre più in una zona off limits, una terra di nessuno, dove oramai sono diventate all'ordine del giorno gli scontri tra diverse etnie.

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