Silvia Kramar
da New York
Sarà che le news televisive sono decadute, sarà che non esistono più i grandi mezzibusti (Peter Jennigs è scomparso prematuramente, Tom Brokaw e Dan Rather sono andati in pensione), fatto sta che il pubblico americano cerca nel cinema quello che non riesce più a trovare in tv. Gli Stati Uniti soffrono di nostalgia e la riversano sul grande schermo: Good Night, and Good Luck, il film diretto da George Clooney sul mitico giornalista Edward Murrow, interpretato dallo strepitoso David Straitharn, sta lentamente scomparendo dalle sale ma tornerà prepotentemente a far parlare di sé nella notte degli Oscar. Proprio nella scena iniziale, il protagonista sale sul podio e parla ai giornalisti televisivi esortandoli a seguire la loro missione, che poi è quella di scoprire la verità senza lasciarsi corrompere dal quinto potere.
Una figura nobile, che ha il suo contraltare in quella al centro di Capote, dove Phillip Seymour Hoffman (altro candidato allOscar) interpreta un Truman Capote a inizio carriera, quando da giornalista si tuffò nei reportage di una strage compiuta in Kansas da due giovani sbandati, salvo poi svendere le confessioni del suo assassino e utilizzarle sfacciatamente nel suo celebre bestseller A sangue freddo. Anche nel recentissimo King Kong, uscito ieri in Italia, Hollywood non risparmia frecciate ai giornalisti, rappresentati da unorda di paparazzi e reporter che non hanno alcuno scrupolo a saltare addosso allo scimmione incatenato, terrorizzandolo a colpi di flash, e poi ne fotografano il cadavere, commentando cinicamente: «Questa bestia non aveva un cuore», dimostrando così di non aver capito nulla di Kong. E che dire di Munich, il film di Steven Spielberg sulla strage delle Olimpiadi tedesche del 72, dove i giornalisti, alla ricerca di uno scoop, finiscono sotto accusa per aver scatenato i terroristi.
Ma non basta. Lontanissimo dalla stampa eroica del Watergate e di Tutti gli uomini del presidente, che costò la Casa Bianca a Nixon, Hollywood si accinge a gettare altro fango sul giornalismo, rievocando le gesta di Clifford Irving, reporter noto per la sua disinvoltura morale. Un uomo così poco fedele alla deontologia professionale da pubblicare, nel 1972, una biografia completamente inventata del miliardario Howard Hughes, già immortalato da Leonardo DiCaprio nel kolossal The Aviator, diretto da Martin Scorsese. Irving aveva sbalordito tutti, inventandosi da capo a fondo una biografia spacciata per vera, comprese delle interviste a quattrocchi che Hughes non gli aveva mai concesso. Nel suo tranello erano cadute sia linsospettabile casa editrice McGraw-Hill sia lautorevole rivista Life, che ne aveva pubblicati alcuni stralci. Il nuovo film sul discutibile giornalista, che oggi ha settantacinque anni e vive ad Aspen, sulle montagne del Colorado, sintitola The Hoax, è diretto dallo svedese Lasse Hallström (autore di Le regole della casa del sidro e di Chocolat) e vede, nei panni di Irving, un Richard Gere pronto a difendere il suo personaggio: «Mi sono innamorato di questo truffatore vedendolo in una vecchia intervista di Sixty Minutes, nella quale insisteva a mentire, sostenendo spudoratamente di aver veramente intervistato Hughes». Anche se, oltre trentanni prima, il 7 gennaio del 1972, Hughes avesse riunito in una sala di Los Angeles i network televisivi e parlando al telefono dalla sua villa delle Bahamas, Howard Hughes avesse ribadito di non aver mai conosciuto Clifford Irving. Le vendite della falsa biografia erano state subito bloccate e il settimanale Time aveva sbattuto Irving in copertina, definendolo il «truffatore dellanno». Lautore dellinesistente scoppo era finito in prigione per poco più di un anno per diventare in seguito un famoso romanziere.
Forse è proprio questa la morale di The Hoax, che uscirà in primavera in Usa: se gli imbrogli giornalistici stanno macchiando una professione nobile, un figura a mezza via tra reality e news sta creando una nuova generazione di mezzibusti ben poco credibili anche se meno ingessati.
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