Una Germania senza idee trascina l’Europa nel caos

Tedeschi sull’orlo di una crisi di nervi. Non è un modo di dire ma la realtà dei sondaggi. La situazione dell’euro è la maggiore causa di angoscia per gli abitanti della repubblica federale: il 70% si dice preoccupato o molto preoccupato. E nel nervosismo generale anche l’establishment sembra avvitarsi. Jürgen Stark, che nel bel mezzo del caos dei mercati ha pensato bene di dare il suo contributo piantando in asso la Bce, è in buona compagnia. Günther Oettinger, stimato esponente della Cdu, il partito di Angela Merkel, è commissario europeo ai trasporti. L’altro ieri si è fatto intervistare dal quotidiano popolare Bild, il più letto nel Paese, per fare due proposte. La prima: a Bruxelles, di fronte ai palazzi della Commissione, le bandiere dei Paesi che ricevono aiuti europei per le loro difficoltà di bilancio dovranno essere esposte a mezz’asta. «Un fatto simbolico», ha aggiunto, «ma importante». La seconda: visto che «in Grecia è tutto un caos, dobbiamo mandare funzionari di altre nazioni nell’amministrazione pubblica per sostituire quelli del posto. Solo così attueremo le riforme necessarie e faremo finire il casino». Un bel contributo alla tranquillità delle trattative in corso sulla crisi finanziaria. E infatti il portavoce del commissario agli affari monetari, Olli Rehn, lo ha gelato: «Proposte singolari, parliamo di cose serie».
Il fatto è che i tedeschi non sanno che pesci pigliare. Le prime righe di «Charlemagne», la rubrica dell’Economist dedicata alle questioni comunitarie, ieri era eloquente: «Ma che cosa vuole la Germania?». La conclusione: «Nessuno sa la risposta, nemmeno i tedeschi». La Merkel dichiara granitica: «L’euro non crollerà perchè sarebbe il crollo dell’Europa e questo non possiamo permettercelo». Sacrosanto. Basta guardare lo studio reso noto dalla banca svizzera Ubs per rendersene conto: in caso di uscita dall’euro il «nuovo marco» si rivaluterebbe in pochi giorni del 40%. I bilanci delle banche (che hanno un mucchio di titoli di altri Paesi dell’eurozona) andrebbero a farsi benedire; per le industrie esportatrici sarebbe la paralisi. Risultato: la spaccatura dell’euro costerebbe alla Germania il 25% del Pil, otto volte di più che tutto il salvataggio di Grecia, Irlanda e Portogallo messe assieme. Ogni cittadino tedesco dovrebbe sopportare un costo tra i 6mila e gli 8mila ero il primo anno, tra i 3.500 e i 4.500 i successivi.
Allo stesso tempo la cancelliera non vuole o non può pagare il prezzo politico della solidarietà europea. Il 66% degli elettori è contrario. A fine settembre il Parlamento dovrà votare il via libera ai nuovi finanziamenti per il fondo di salvataggio e nella sua maggioranza, 19 voti, i mal di pancia sono diffusi. Le misure passeranno (gran parte dell’opposizione è favorevole) ma sopravvivere grazie alla sinistra per la Merkel sarebbe più che imbarazzante. Una possibile via d’uscita resta quella di legare gli aiuti a una più stretta sorveglianza sui temi fiscali, magari stabilita da nuovi trattati (qui i tedeschi sarebbero d’accordo visto che restano europeisti convinti). La cancelliera ne ha parlato ieri. Ma è una strada tortuosa e complessa.
Quanto alle dimissioni di Stark, la notizia migliore per l’Italia è legata al nome del suo successore: con tutta probabilità sarà Jörg Asmussen, sottosegretario alle Finanze di Berlino. Il suo nome è trapelato poco dopo la notizia delle dimissioni del capo economista della Bce. Segno, è l’interpretazione diffusa, che la Merkel e il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble conoscevano da giorni l’intenzione di Stark. Tanto quest’ultimo era considerato un falco, tanto Asmussen ha la fama di colomba. Classe 1966, simpatie socialdemocratiche, era stato portato al governo dalla maggioranza rosso-verde.

Schauble lo ha confermato per le buone prove dimostrate nel corso di alcuni salvataggi bancari. Per fare un master, all’inizio degli anni 90, scelse la Bocconi di Milano. Agli aiuti comunitari lui è favorevole. E con lui la Bce assomiglierà sempre meno alle vecchia Bundesbank.

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