Con una riunione a Roma, martedì notte, tra Alberto Nagel, Lorenzo Pellicioli e Francesco Gaetano Caltagirone, è stato deciso che l’indomani mattina quest’ultimo avrebbe informato il presidente delle Generali, Cesare Geronzi, che 12 consiglieri su 17 erano pronti a presentare in consiglio una mozione di revoca. E ieri mattina Geronzi, dopo il colloquio con Caltagirone, ha deciso di dimettersi, anche per evitare alla compagnia un ulteriore psicodramma. Sono seguite le trattative, serene, per la definizione dei termini di buonuscita e l’accordo per la permanenza al vertice della Fondazione Generali. Geronzi si è dimesso anche da tutti i patti di sindacato e i consigli in cui era presente (Rcs, Mediobanca, Pirelli). Poi Geronzi, in cda, ha annunciato le dimissioni lasciando la conduzione dei lavori al vicepresidente vicario Caltagirone.
È finita così, dopo soli 347 giorni, l’avventura del banchiere più potente d’Italia al vertice delle Assicurazioni Generali, dove si è trasferito il 24 aprile scorso proveniente da Mediobanca, dopo essere stato preceduto da 3-4 mesi di polemiche, chiacchiere, voci sui progetti di Geronzi per le Generali. Sta di fatto che il management della compagnia ha fin da subito vissuto il nuovo presidente come un corpo estraneo; mentre egli ha reagito comportandosi da presidente non operativo, perché deleghe non ne aveva, ma rappresentativo sì, attraverso interventi pubblici e interviste. In altri termini, fin da subito si sono create le condizioni per avere qualche problema. E a nulla è valsa la nuova governance, studiata apposta, con il contributo attivo dello stesso Geronzi, perché i poteri fossero ben chiari tra i manager, il presidente e i comitati.
Geronzi si è confidato con pochi amici al termine della giornata, ai quali ha confessato le sue perplessità sul fatto che, via lui, i problemi delle Generali saranno risolti. Non a caso la formula concordata con la società recita che il presidente, «a seguito della situazione venutasi a creare per contrasti che non lo vedono partecipe nelle Generali, ha ritenuto dopo pacata riflessione, nel superiore interesse della compagnia, di rassegnare oggi le dimissioni». E in quei «contrasti che non lo vedono partecipe» sta la chiave del Geronzi pensiero. Il cda, sarebbe la sua convinzione, è diventato ingovernabile per i troppi contrasti personali interni. E sarebbero almeno tre le questioni destinate a far discutere: la prima è ancora legata al socio Petr Kellner, ma in particolare all’acquisto della partecipazione di circa il 2% nelle Generali. La seconda è un’altra operazione di questi ultimi anni: il passaggio di Toro da De Agostini a Generali. E l’ultima sarebbe legata all’ingresso di Crt e Ferak nel capitale della società. In ogni caso non sarà più un suo problema. Anche se alla pensione Geronzi non pensa ancora, tanto da aver ripetuto che la vita è lunga.
La svolta di ieri, che ha preso di sorpresa anche lo stesso Geronzi, è maturata nel week end, con Mediobanca in cabina di regia a raccogliere consensi sulla possibile svolta. Fino ad arrivare a 12 firme: Della Valle, il numero uno di De Agostini Lorenzo Pellicioli, Angelo Miglietta (Ferak-Crt), i tre rappresentanti di Assogestioni (Cesare Calari, Carlo Carraro, Paola Sapienza), Petr Kellner, proprietario del gruppo Ppf e il finanziare tedesco Reinfried Pohl. A cui si sono aggiunti per Mediobanca Nagel e Vinci, e i due ad di Generali, Perissinotto e Balbinot. Già domani un nuovo cda per decidere la successione. Tra i possibili candidati, i nomi dell’ex ministro del Tesoro Siniscalco, quello del presidente Telecom Galateri, e dell’economista ed ex commissario Ue Mario Monti.
Si chiude così uno scontro partito con le dichiarazioni di Della Valle che parlava di «arzilli vecchietti», che gestiscono le società con un criterio «che appartiene al passato», fatto «dei rapporti e dei si dice» e opposto a quello di chi fa «prodotti da vendere sui mercati di tutto il mondo». Seguono le dimissioni di Leonardo Del Vecchio, patron di Luxottica. Poi scoppia il caso Bollorè, il vicepresidente che si astiene sul bilancio 2010 e poi, in un’intervista, chiede «più trasparenza».
È la goccia che fa traboccare il vaso perché Geronzi non dice una parola in difesa dell’ad Perissinotto. Che viene invece difeso da un gruppo di consiglieri. Gli stessi che nel week end hanno appoggiato la mozione. E ai quali si è aggiunta Mediobanca per il colpo definitivo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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