È iniziata di shabbat e di shabbat finirà. Ma stavolta non cè bisogno di sorprese, stavolta non è necessario infrangere il riposo ebraico. La guerra è già vinta e per sancirne la fine basterà convocare il Gabinetto di Sicurezza dopo il tramonto e fargli votare un cessate fuoco unilaterale non legato, ufficialmente, ad alcuna trattativa. Non è proprio così, ma non conta. Contano i successi conquistati sul terreno e la forma di un documento che fissa la fine delle ostilità alle condizioni di Israele. Condizioni che non prevedono un immediato ritiro dalla Striscia e si guardano bene dal prendere in considerazione le richieste di Hamas. Anche perché uno dei leader dellorganizzazione si è già rimangiato il sì al cessate il fuoco annunciato giovedì dai suoi emissari al Cairo. Khaled Meshaal, leader in esilio del gruppo fondamentalista, presente ieri a un vertice in Qatar al fianco del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha detto, infatti, di «rifiutare le condizioni» dIsraele.
Dunque, decide lo Stato ebraico e si riserva di ricominciare se Hamas alzerà la testa o imiterà Hezbollah annunciando unillusoria «divina vittoria». Ma non dovrebbe essercene bisogno. Lultima fatale zampata è stata sferrata giovedì nel cuore di Gaza City. Durante quelle 48 ore di combattimenti spietati carri armati e forze speciali hanno scardinato le roccaforti di Hamas uccidendo Said Siam, uno dei tre più importanti leader politici dellorganizzazione, e decimando la cosiddetta «brigata iraniana» ovvero quei reduci dai campi daddestramento dei pasdaran considerati la punta di diamante di Hamas.
Anche sul terreno diplomatico i successi non mancano. Il primo risultato lo chiude ieri il ministro degli esteri Tzipi Livni volando al dipartimento di Stato di Washington per firmare unintesa sul contrabbando darmi. Grazie a quel trattato, siglato nel suo ultimo giorno di mandato dal segretario di Stato Condoleezza Rice, Israele impegna la nuova amministrazione democratica a contrastare il contrabbando darmi dirette ad Hamas, gestito dallIran. Anche decidendo di trattare con lIran Barack Obama non potrà esimersi, insomma, dallagire per bloccare i convogli di armamenti destinati ad Hamas organizzati direttamente dalle coste iraniane o semplicemente finanziati da Teheran. Laccordo, come chiarisce la Rice, «va considerato uno degli elementi fondamentali per garantire un cessate il fuoco in grado di reggere». Tutti si guardano bene, però, dal chiarire cosa dovrà fare in concreto Washington per bloccare eventuali convogli in navigazione sulle rotte del Golfo Persico o del mar Rosso. «Lidea di fondo è che non bisogna permettere ad Hamas di rifornirsi da mare terra o aria», si limita a dire il portavoce del dipartimento Sean McCormack.
Poche certezze anche da quelle sale del Cairo dove ieri è tornato, per la terza volta, Amos Gilad, lalto funzionario del ministero della Difesa di Gerusalemme incaricato di valutare i particolari della cosiddetta iniziativa egiziana. La grande incognita o meglio il grande assente di quellintesa continua a essere la forza internazionale incaricata, nei piani di Israele, di impedire lo scavo di nuovi tunnel e di garantire lidentificazione e la distruzione di quelli esistenti. Il fantasma di una forza turca destinata, secondo quanto si mormorava nei giorni scorsi, a venir schierata sul lato palestinese di Rafah deve, dunque, ancora concretizzarsi.
La fine delle ostilità, costate fino a ieri oltre 1100 morti palestinesi, è stata preceduta ieri sera dallagghiacciante uccisione in diretta tv di tre figlie e due nipoti di un medico palestinese collegato in quel momento con un emittente israeliana per descrivere la situazione a Gaza. Mentre Ezzeldin Abu el Aysh parla al telefono una cannonata colpisce la sua casa e i telespettatori ascoltano prima il suo grido agghiacciante «Oh Dio oh Dio» e poi per alcuni minuti i suoi lamenti strazianti.
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