La gestione del potere nella Campania rossa

Su Antonio Bassolino (articolo di Giancarlo Perna sul Giornale di lunedì) si può aggiungere qualcosina per far capire come sia presente e radicata la «questione morale» che Franco Giordano, segretario di Rifondazione, ora e solo ora imputa al partito di D’Alema e Fassino.
Il dato che ci fa capire un po’ di cose è il numero delle società partecipate della Regione Campania: sono 37, il doppio del Piemonte e il triplo di quelle del Lazio. Sono costate 100 milioni di euro, solo per metterle sul mercato, hanno 255 amministratori, 6.000 dipendenti, ai quali vanno aggiunti i 7.400 della Regione. I conti: 43 milioni di perdite e 7 milioni di utili. Un disastro, ma utilissimo a chi ha il potere. Lo ha spiegato benissimo Massimo Villone (autore con Cesare Salvi del libro Il costo della democrazia) partecipando alla trasmissione Report sullo scandalo rifiuti in Campania. La conduttrice, Milena Gabanelli, chiede perché un amministratore ricorre alle società partecipate. Ecco la risposta di Villone: «Supponiamo che io sia un sindaco, un presidente di Provincia o un governatore. Ho avuto una campagna elettorale difficile e costosa, ho i miei ambienti di riferimento: amici, sostenitori, squadre di volontari, imprenditori vicini. Ora si aspettano che io dia delle risposte. Cosa faccio? Mi rivolgo al dirigente messo là dalla giunta precedente, persona perbene, rigorosa, pignola, che spacca il capello in quattro e dice che la pubblica amministrazione non deve fare favoritismi. Il dirigente ideale. Ma per me è un problema. Cosa faccio? Lascio lì il dirigente, però riorganizzo l’amministrazione. Prendo pezzi degli uffici, li sposto, faccio un altro dipartimento, un’altra area. Le cose che mi interessano le metto da un’altra parte; il dirigente sta lì, ma non si occupa più delle cose mie. A capo di questa nuova struttura metto un nuovo dirigente, un esterno assunto a contratto, naturalmente un amico. Nei procedimenti che mi interessano, che producono gli atti che mi interessano, metto un comitato di esperti e nel comitato di esperti sono tutti amici miei. Posso fare anche un’altra cosa. Prendo un pezzo di attività che mi interessa e lo esternalizzo. Lo metto in una società a partecipazione pubblico-privato, in una Spa in cui io partecipo come ente. Mi nomino il presidente, mi nomino i consiglieri di amministrazione, i revisori, i sindaci, sempre amici miei; gente di cui mi fido. E poi come effetto collaterale, se devono svolgere questa attività, magari fanno un po’ di assunzioni, faccio assumere quei 30-40 giovanotti che mi hanno dato una mano ad attaccare i manifesti in campagna elettorale.

In tutto ciò nessun illecito. Non firmo una carta, non tocco nessuno, niente tangenti, niente mazzette, si orienta l’amministrazione verso un risultato: la produzione del consenso».
In Campania le giunte rosse fanno tutte così.

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