«Già finita la luna di miele tra Prodi e gli italiani»

«Nell’elettorato moderato l’indignazione è sempre più forte»

Fabrizio de Feo

da Roma

Il Parlamento chiude i battenti per la pausa estiva. Ma il centrodestra tiene aperto il dibattito e si interroga sulla «qualità» dell’opposizione al governo Prodi, in vista della prova d’autunno della Finanziaria. Un appuntamento a cui Gianfranco Fini punta ad arrivare con una strategia più raffinata rispetto agli assalti all’arma bianca portati finora e regolarmente infrantisi contro il muro della fiducia.
Onorevole Fini, nel centrodestra sembrano emergere tre posizioni: il muro contro muro; il ricorso a una opposizione «intelligente» e la tentazione delle larghe intese. Lei quale sceglie tra queste tre opzioni?
«Un’opposizione che rappresenta metà del Paese e forse qualcosa di più non può ridursi a un ruolo distruttivo e pregiudiziale. Deve essere netta ma deve fare in modo che si determinino le condizioni per essere, quanto prima, alternativa alla maggioranza. Dire no pregiudizievolmente significa solo favorire il governo che si arrocca in difesa delle sue posizioni e campa di rendita. Io credo che un’opposizione intelligente sia quella che cerca di mettere in evidenza le contraddizioni della maggioranza e sa incunearsi nelle molte divisioni del centrosinistra, facendole esplodere fino alla caduta della maggioranza stessa».
E in caso di caduta del governo Prodi quale dovrebbe essere essere l’approdo successivo?
«Per me l’opzione preferibile rimane il ritorno alla sovranità popolare cioè alle urne ma la storia recente insegna che non sempre quando cade un governo si torna subito al voto, soprattutto se la caduta del governo Prodi dovesse essere più repentina di quanto pensavamo fino a qualche mese fa».
Cosa hanno detto questi 100 giorni del governo Prodi?
«Ero convinto che il periodo della luna di miele con gli elettori durasse di più. Porre 7 volte la fiducia, accendere feroci polemiche tra ministri, trasformare il presidente del Consiglio nel megafono della sinistra estrema significa essere di fronte a un quadro di sfilacciamento e logorio che non mi aspettavo. Ne ho visti tanti di governi con il fiato corto ma si trattava di governicchi balneari, nati morti o a termine. La realtà, invece, mi sembra ancora peggiore delle più pessimistiche previsioni».
Lei scommetterebbe un euro sul fatto che alle prossime elezioni ci si presenterà con lo schema del bipolarismo attuale?
«È una scommessa viziata visto che manca la data di svolgimento. Una evoluzione è possibile ma presuppone un tempo lungo. L’attualità politica sta dimostrando che Prodi può anche vincere ma poi con una coalizione che va da Fisichella a Luxuria non è in grado di governare. Noi siamo sicuramente più omogenei al nostro interno. Io auspico, anzi sogno un confronto elettorale tra due grandi raggruppamenti: il partito democratico - se mai riusciranno a farlo - e una federazione, una intesa, un accordo tra le forze che si riconoscono nel Ppe».
Lei ha aperto una finestra importante verso il traguardo del partito unico già alle prossime Europee del 2009. L’ipotesi di una lista unica, qualora l’Udc si sfilasse da questo processo, resterebbe comunque in piedi per le sole Fi e An?
«Io auspico fermamente che tutti e tre i partiti partecipino. Ma se qualcuno vuole tirarsi fuori non si può e non si deve fermare questo progetto».
Cosa farà Casini alla prova dei fatti?
«Per la stima che ho nei suoi confronti sono sicuro di poter dire che Pier Ferdinando ha ben chiaro che non esiste altra strategia possibile che non quella del rafforzamento del centrodestra. Non credo affatto voglia fare stampella del centrosinistra. Anzi lo escludo».
Si sta per entrare nella stagione della Finanziaria. Lei ha parlato della possibilità di proporre pochi emendamenti qualificanti qualora l’Unione decida di non mettere la fiducia. «Se vogliamo mettere in evidenza le loro contraddizioni è naturale farlo. Sulla Finanziaria si confronterà la sinistra dei nostalgici castristi che vorrebbe allargare la spesa a dismisura e la linea di rigore di stampo europeo impersonata da Padoa-Schioppa. È essenziale che il governo non metta la fiducia e noi non dobbiamo offrirgli un alibi con una opposizione urlata. Non dobbiamo regalargli il grimaldello con cui chiudere la maggioranza nel recinto della coalizione e impedire che ci siano libere espressioni di voto».
Lei ha evocato lo scenario della piazza qualora venga posta la fiducia sulla Finanziaria. Ma nella gente di centrodestra vede motivazione o c’è il rischio di un certo torpore?
«Il torpore non c’è. C’è, invece, una indignazione sempre più forte. La Finanziaria è un terreno di confronto che coinvolge le categorie e i ceti sociali. Se quel confronto avviene nelle aule parlamentari siamo nella fisiologia, se è impedito è evidente che la protesta si sposta fuori dal Parlamento. La maggioranza dice: noi facciamo il confronto con le parti sociali e poi quando c’è l’intesa la ratifichiamo con la fiducia. È una brutta filosofia simile a quella adottata con il decreto Bersani. Hanno della concertazione una concezione elitaria: concertano con pochi a discapito di molti».
Lei è stato il primo nel centrodestra a fare importanti aperture sull’integrazione degli immigrati. Oggi l’Unione accelera e accorcia drasticamente i tempi della cittadinanza.
«È un tema complesso su cui vanno banditi gli atteggiamenti ideologici, sia di chi dice poverini, sia di chi dice che gli immigrati sono la causa di tutti i mali. L’immigrazione rappresenta una risorsa a condizione che sia governata e controllata. Sono preoccupato che una persona che stimo come Amato abbia detto che vuole cambiare la legge vigente demolendo il pilastro del permesso di soggiorno legato al contratto di lavoro. Il lavoro è la via principale per l’integrazione».
E sulla cittadinanza? Lei crede all’automatismo temporale o sarebbe il caso di creare un collegamento con l’integrazione economica e sociale?
«La cittadinanza non è un diritto, è uno status. Anch’io sono dell’avviso che il termine di dieci anni sia superato ma credo sia pericoloso passare automaticamente a cinque anni e si possa puntare sui 7-8 anni. Ma deve essere chiaro che lo status di cittadino deve essere suffragato da alcuni requisiti come la permanenza ininterrotta, un lavoro continuativo e la fedina penale immacolata. Inoltre chi chiede la cittadinanza deve dimostrare di padroneggiare la lingua italiana. In ogni caso non illudiamoci che la cittadinanza sia sinonimo di integrazione».
Il ministro Ferrero già prenota i voti degli stranieri-elettori. Ma l’equazione voto agli immigrati uguale più voti alla sinistra è davvero scontata?
«Non ho il timore che questa manovra sia stata pensata per rimpinguare un magro bottino elettorale. Sono preoccupato della demagogia, della superficialità. Ferrero è un caso clinico. Arrivare a dire che per combattere i mercati di morte bisogna valutare l’opportunità di comperare il biglietto per il traghetto ai clandestini fa sorridere ma anche inorridire l’Europa intera».
Lei confida di poter ottenere consensi in questo nuovo bacino elettorale?
«Abbiamo avviato da tempo il dialogo con le comunità integrate che sono le più preoccupate rispetto a certe politiche avventuriste. Il punto è un altro. Quando gli immigrati islamici rivendicano il diritto di professare la loro fede devono contemporaneamente rispettare l’identità del Paese che li accoglie. Troppo spesso c’è la sottolineatura dei diritti degli immigrati ma non dei loro doveri. È sbagliato proibire a qualcuno di pregare ma si ricordi che è ospite di un Paese che ha un’identità al 95% derivante dalla tradizione cristiana».
Per chiudere, un flash sull’attualità. Francesco Cognetti, oncologo di fama, rimosso dal ministro Turco.

È il segno che la lottizzazione non si ferma neppure davanti alla scienza?
«Purtroppo sì, questo provvedimento diventa simbolico di una volontà di potere che non risparmia nemmeno gli ammalati di tumore. Dispiace dirlo ma lottizzano anche la lotta al cancro».

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