Giù le mani da Mancini

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(...) Quando ho letto, la mattina del match, ho pensato: povera Sampdoria. Lo stesso, ne sono certo, è accaduto a Garrone. Francesca è una cara e intelligente ragazza, umanamente ammirevole nella difesa del fratello ex presidente blucerchiato. Ma ho qualche dubbio che conosca a puntino la gestione blucerchiata di Enrico, «geloso» di Roberto Mancini pupillo di Paolo e «imbarcatosi» nella spericolata «filosofia sportiva» di Emiliano Salvarezza. Dopo il primo anno di giudiziosa marcia sul solco del Padre, che gli valse tra l’altro la conquista della Coppa Italia, Enrico tagliò i ponti con quanti erano stati maggiormente in amicizia e sintonia col gigantesco Genitore: dal capitano (Mancini) al manager (Borea), dal segretario (Traverso) al medico (Chiapuzzo), dal magazziniere (Bosotin) al giornalista (eccomi qua). E invece di dichiarare con giudiziosa umiltà ai tifosi e alla stampa «signori, gradualmente ma nettamente dobbiamo purtroppo ridimensionarci» operò successive e ossessive rivoluzioni che portarono in blucerchiato - con la felicissima eccezione di Flachi preso gratis - sia grandi nomi dagli ingaggi sproporzionati alla realtà del dopo Paolo (Zenga, Ferri, Melli, Mihajlovic, Karembeu, Seedorf, Maniero, Veron, Montella, Boghossian, Laigle, Morales, Signori, Ortega, Jovicic) e non tutti dal rendimento adeguato, sia un mare di zavorra. Risultato: «Una cosa va precisata: la Samp non sarebbe fallita, non lo avremmo consentito», ha detto Francesca Mantovani.

Be’, andate un po’ a chiedere come stavano realmente le cose a Garrone che la Samp ha presa per i capelli sull’orlo della serie C e «soltanto» per non farla fallire ha dovuto sborsare la modica cifra di 80 miliardi di vecchie lire…

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