Le giaculatorie dei nostri nonni

Espressioni di una religiosità semplice e popolare, riflettono il bisogno dell’aiuto divino in tempi difficili

Le giaculatorie dei nostri nonni

I nostri nonni recitavano le giaculatorie, erano poveri ma sereni, nonostante i guai, e il bello è che spesso non conoscevano nemmeno il significato di ciò che dicevano. Una vecchietta del mio paese non sapeva ripetere «adoramus et benedicimus te Jesu quia per sanctam crucem tuam redimisti mundo», e diceva «adoramus benedicimus Jesu vrinc e vronc per questo mondo». E a mio nonno che le chiese conto di ciò che diceva rispose che Dio capiva lo stesso.
«Giaculatoria (lat. jaculatoria - sott. prex, prece) da jaculari, lanciare, vibrare, denominativo da jaculum, dardo, che dal suo canto viene da jàcere, gettare. Breve orazione, che si porge a Dio o ai santi, detta come se dovesse salire rapida e diritta al cielo, come dardo o saetta lanciata». Così il dizionario etimologico Zingarelli.
Il termine accetta parentele scomode. Con «eiaculazione», ad esempio. O, ben peggio, con «iattura». Di cose gettate si tratta, infatti, in tutti e due i casi. Ma nel caso della jaculatoria il gesto, lo scatto, è qualcosa di speciale, di unico: ben più di un po’ di seme (cui somiglia, comunque, nella sua energia fecondativa) e molto più della iattura, dove l’oggetto del getto si ferma alla malevolenza.
Ce ne racconta un pezzo di storia l’interessante volumetto Giaculatorie della tradizione italiana, curato da Luca Volonté e pubblicato da Cantagalli (pagg. 270, euro 16,50). Il metodo di reperimento del materiale - contatti con le parrocchie - lo determina in direzione di un’ortodossia che penalizza un po’ la vivacità e l’imprevedibilità del genere letterario. Ciò nonostante, gli esempi luminosi e commoventi abbondano.
Che cos’è una giaculatoria? È un’orazione breve, facilmente mnemonizzabile, da ripetersi durante la giornata o in occasioni particolari. E, se molte giaculatorie hanno autori illustri (come San Filippo Neri), la forma è però popolare. Preghiera gettata, come una scheggia. Ma non solo una scheggia da lanciare verso Dio, la Madonna o i santi, bensì anche una scheggia che si conficca negli istanti, dentro la normalità del tempo e delle azioni. Sono soprattutto le azioni legate più strettamente all’idea del destino a richiamare l’uomo semplice alla sua originale dipendenza.
Il viaggio, per esempio. Se c’è un’edicola dedicata a Maria, ecco la scheggia: «Vi saluto o Madre e Madonna, come Voi nessun’altra donna; con il Vostro Figlio in braccio, date la benedizione a me che passo». Oppure: «Quando passo da questa via saluto Gesù e Maria». O l’andare a dormire, che è un po’ come morire. E allora: «Sul placido guanciale del mio riposo/ maternamente vigili lo sguardo tuo amoroso/ e se sognar deggìo/ mostrami in sogno il Paradiso e Dio». O anche: «O mia Madonna, com’è bello a sera dormir nel cuore del Tuo Gesù». O ancora: «Con Gesù mi corico,/ con Gesù mi sto,/ solo con Gesù/ paura non ho». Ma la più bella si trova in diverse regioni: la formula veneta è la mia preferita: «Signore a leto mi ghe vò/ levare mi no so,/ Signore tre cose ve domando: Confession, Comunion, oio santo».
Non si contano, poi, le preghiere all’angelo custode, quasi tutte dominate da un tono di confidenza. Eccone una: «Diavoletto scappa via/ Angioletto vieni qua,/ buona notte a mamma e papà». Spessissimo la Madonna è chiamata «mamma» («Buonanotte Madonnina! Tu sei la dolce mia mammina»), così come Dio riceve, specialmente nelle preghiere dialettali, il bellissimo appellativo di «papà», «babbo». «O Babbu meu amorosu», recita l’inizio di una splendida preghiera sarda. Questa confidenza semplice che si pianta nel tempo di ogni giorno è il cuore della giaculatoria. Ne sono testimoni le giaculatorie per i santi: una sezione che il curatore del volume avrebbe potuto ampliare di molto, così come quella dedicata alla Sacra Famiglia.
La più famosa è dedicata a Santa Barbara e dice così: «Santa Barbara benedetta salvaci dal fulmine e dalla saetta». Ma ce n’è di splendide: «Sant’Ana miraculusa fa che la mia tusa la sa spusa». Sant’Anna miracolosa fa’ che mia figlia si sposi. E chi meglio di sant’Anna?
Eccone altre: «O Madona dal ma da cö guarisum te che ta po’». O Madonna del mal di testa, guariscimi tu che puoi. Una ci porta all’epoca in cui a emigrare eravamo noi: «O Sant Crucifis miraculus, cura el me pà che l’è in gir pal mund a laurà». L’uomo è così fragile che anche l’amore a Gesù è fragile, senza l’aiuto dei santi. Ecco dunque l’invocazione ai santi nonni: «Sant’Ana e San Giuachin vutèm a vureg bee al to neudin». Sant’Anna e san Gioachino aiutatemi ad amare il vostro nipotino.
Le giaculatorie sono soprattutto - sia che nascano dal popolo, sia da espressioni bibliche o liturgiche - la testimonianza di un’immensa fiducia dell’uomo in Dio. Moltissime sono le preghiere in cui Maria viene chiamata «sicurezza» e «fiducia». La vita di cui ci parlano è una vita dura e dolorosa, guardata con un realismo che oggi fa difetto.

È curioso notare come la fede di questi nostri antenati cresca in misura dei dolori e delle privazioni. Noi, che non abbiamo più nessun dio, o un dio simile a un sogno, dovremmo sapere guardare alla realtà con più concretezza. Invece riusciamo, al massimo, ad essere più cinici.

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