Il giallo del Circeo? E' roba da primitivi

Un saggio di Antonio Pennacchi sull’uomo di Neandertal scoperto nel gennaio del 1939. Fra rituali antropofaghi, iene e accademici una storia in punta di scalpello

Il giallo del Circeo? E' roba da primitivi

Antonio Pennacchi è uno strano. Un giorno te lo trovi a parlare di fasciocomunisti, tutto incastrato nella sua bizzarra biografia, un giorno ti racconta di canali duceschi, di città del fascio... e un altro ancora dei nostri fratelli maggiori, i Neandertal. Sì proprio dei Neandertal senza l’«H», e non mettetela l’«H», se no al Pennacchi gli girano e gli tocca spiegare: «Neandertal si scrive senza acca. Il nome della valle vicino Düsseldorf in Germania, dove nel 1856 furono rinvenuti per la prima volta i resti della omonima specie, si scriveva con l’acca solo in tedesco antico... Neanderthal è sbagliato».

Ma perché, vi chiederete, a Pennacchi gli tocca (sì gli tocca, non è proprio che gli sia venuto spontaneo) parlare anche di razze umane estinte da migliaia e migliaia di anni? La risposta la trovate nel suo ultimo saggio Le iene del Circeo. Vita morte e miracoli di un uomo di Neandertal (Laterza, pagg. 212 euro 10). Gli tocca perché è un uomo dell’agro pontino da sempre e quindi da sempre calca lo stesso suolo (con qualche piano di calpestio di differenza) che migliaia di anni fa dava prede e patria ai primi abitatori dell’Europa di cui noi Cro Magnon abbiamo preso il posto. A testimoniarlo c’è un teschio ritrovato sul monte Circeo il 24 gennaio del 1939 e un’infinità di altri reperti. E proprio da quel teschio studiato da Alberto Carlo Blanc, grande pioniere della paleontologia italiana, parte la fatica e il gran strizzare di meningi di Pennacchi. Quando Blanc giunse alla grotta, dove venne trovato il reperto, vi erano già entrati degli operai (difficile accertare quanti) e il teschio era stato sollevato seppur, a detta dei testimoni, immediatamente rimesso al suo posto. Per come lo vide Blanc, e per come lo disegnò, il teschio era inserito in un ovale di pietra. E a un esame più accurato risultò che il foro occipitale era stato allargato artificialmente. Insomma, secondo Blanc era abbastanza ovvio che si fosse trattato di un rituale antropofago, la testimonianza di un gesto in qualche modo «religioso». La sua tesi andò per la maggiore per anni sino a che, nel 1989, a un convegno per il cinquantenario della scoperta a Sabaudia, Tim D. White, dell’Università di Berkeley, sostenne che secondo lui sul cranio non c’era nessuno dei segni tipici di un atto di antropofagia rituale (tracce di raschiatoi o altri strumenti). Anzi, secondo White si poteva azzardare che certi graffi sul cranio fossero compatibili con il morso di una iena. Fine delle ipotesi su rituali religiosi compiuti da parte di quegli stupidotti di Neandertal. Forse White se la sarebbe cavata così, con una contestazione solo di alcuni studiosi fra i più anziani. Peccato per lui che in sala ci fosse un operaio cassintegrato e amante della logica (oltre che onestamente rompiballe). Si chiamava Antonio Pennacchi, era andato a seguire il convegno - non aveva niente da fare - e la prese male. Non gli piaceva un ragionamento che tralasciava in pieno la questione del cerchio di pietre: «Chi ce le ha messe allora quelle pietre la attorno?». Insomma, o qualcuno gli dimostrava che le pietre non c’erano e Blanc se le era inventate (o ce le aveva messe lui) oppure la spiegazione della iena aveva poco o nessun senso. Non si poteva far finta di niente: glorificare Blanc e contemporaneamente ammazzare i suoi studi (trattando i Neandertal come cugini tonti). Ovviamente gli studiosi paludati non diedero gran retta al fasciocomunista arrabbiato.

Peggio per loro: è stato solo un modo di spingerlo prima a laurearsi in Lettere e poi a occuparsi a tutto vapore della vicenda (spinta aumentata da un altro convegno del 2006). Il risultato sono stati alcuni articoli su Limes e poi questo saggio-invectiva. Sfogliandolo il lettore troverà tanta scienza, molta logica, lo spirito dell’etnografia e un ragionamento pro Blanc da fare invidia ai professionisti del campo. Il tutto però gestito con linguaggio e digressioni che sono il marchio di fabbrica del vincitore del premio «Strega». Ecco a esempio come descrive la questione del mancato scotennamento del cranio (secondo White): «Io gli cavo da sotto la coccia il cervello e me lo mangio tranquillo tranquillo lasciandogli pure tutti quanti i capelli.

Che te ne frega a te? Che fai il barbiere?». Ma alla fine non si tratta solo di dottrina e bella scrittura. Pennacchi ha ripescato pure un testimone che vide il teschio prima di Blanc. Ed era già nel cerchio. Alla faccia delle accademiche iene.

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