Giampaolo l’allenatore della mente

Attenzione alle parole. «Si gioca col corpo, si vince con la mente». Maccarone alza lo sguardo e legge. Il cartello è scritto a pennarello sulla parete di fronte ai lettini per i massaggi del Siena. Sei postazioni, sei messaggi. Cambiano ogni giorno. Scrive Marco Giampaolo, la mattina. Letto? Letto. Non si fanno domande, non si chiedono consigli, non si accettano risate. Bisogna leggere e non commentare. Per Giampaolo vale più di una lavagna e più di una messa cantata negli spogliatoi. Non più di uno schema. Perché Marco è un altro fissato del modulo, dei pallini che si muovono sul campo senza nome. Sacchiano, Zemaniano, Sonzognano, preferisce lui. «A 24 anni se qualcuno mi avesse detto smetti di giocare e comincia a fare l’allenatore, l’avrei fatto subito. Io già vedevo le esercitazioni in un’ottica diversa, quella di chi un giorno avrebbe potuto utilizzarle con il suo gruppo». Fare l'allenatore può essere un ripiego, oppure l'unica strada per chi non conosce altro che il pallone. Per Giampaolo è stato un richiamo che l'ha portato a smettere di giocare a neanche trent'anni. Ha avuto mister che l'hanno contagiato, il resto l'ha fatto lui, che ha preso la parte del cervello che aveva immagazzinato i movimenti visti da guardalinee e li ha tirati fuori: «L'uomo che mi ha cambiato la vita è stato Sonzogni. Era ed è un sacchiano convinto, abile a mettere in campo la squadra e grande studioso del calcio. Con lui ho capito l'organizzazione della difesa. Poi ho avuto Delio Rossi, seguace di Zeman. A lui ho cercato di rubare i segreti del gioco d'attacco, le tre punte. Poi Giovanni Galeone e il suo calcio spagnoleggiante. Però Sonzogni è stato quello che mi ha entusiasmato di più. Allora un giorno mi sono chiesto come si poteva evolvere il suo gioco e ho pensato alle idee di Gigi Del Neri. Chiesi un favore a un amico: di andare a filmare la sua preparazione pre-campionato». Quella cassetta Marco ce l'ha ancora. La usa quando può, forse quando non lo vede più nessuno. Arriverà Siena-Atalanta, sarà buona di nuovo. È il suo calcio umile, questo: si studia, ci si documenta, si prova, però c'è sempre qualcuno che ne sa di più, c'è sempre uno più bravo di te. Modesto, Giampaolo. Allenava in serie A, ma non poteva figurare, l'Ascoli prese Silva per coprire il buco del regolamento. Quella tessera è arrivata qualche tempo dopo, con l'esame e tutto il resto, coi complimenti, con la lode, con un contratto del Cagliari per la stagione successiva. Un fallimento, quello. Dicono il gioco, forse gli uomini. Esonerato a novembre, richiamato a dicembre. No. «Pur nella consapevolezza del danno economico che ne deriverà, rinuncio a tornare a Cagliari. L'orgoglio e la dignità non hanno prezzo». Questa non l'ha scritta, l'ha detta. A Cellino, alle telecamere.

È arrivato il Siena, si ricomincia. Con la zona e con la linea dei 23 metri, che è la fissazione del suo modo di giocare: «Mai indietro oltre quella misura». Impossibile. Gliel’ha detto anche Sonzogni. Però lui quest’anno non allena.

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