Gianfranco dalle Coop rosse È il trionfo dell’imbarazzo

nostro inviato a Bologna

Gianfranco Fini che presenta la sua fatica letteraria «Il futuro della libertà» nella libreria delle coop. Due opposti che si attraggono: il delfino di Giorgio Almirante e il braccio economico del Pci; l’erede della destra storica e i nipoti del comunismo reale; due protagonisti dotati di un passato fastidioso con cui fare i conti. Ed entrambi al lavoro per liberarsene. Troppo facile dire: vent’anni dopo quello di Berlino, è caduto anche il muro di Bologna.
Tra le decine di luoghi di ritrovo culturale disseminati nella dotta Bologna, la sua città, Fini ha dunque scelto quello delle coop. Un antico edificio pubblico a pochi passi da piazza Maggiore che fu chiesa, mercato, cinema porno, topaia; che il Comune, forse inevitabilmente, ha assegnato a Coop Adriatica - vincitrice di bando di gara - la quale da un anno l’ha trasformato in un locale all’avanguardia dominato dal colore rosso (dalla vernice delle scale ai cartellini degli organizzatori alle poltrone), un mix di libri e cibo in cui si comprano romanzi e leccornie nello spazio di Eataly, ramo gastronomico delle coop.
Un ritrovo in cui tutto si mescola era il posto ideale dove l’ex numero uno del Movimento sociale poteva dialogare con gli ex finanziatori del Partito comunista. Un argomento in più per quanti sostengono che Fini abbia più ascolto a sinistra che a destra. Opinione confermata dalle furiose polemiche della vigilia. Il centrodestra bolognese si è diviso sull’accoglienza a quello che resta il numero due del Pdl. Una frangia rumorosa di ex forzisti capitanati dal capogruppo in comune Lorenzo Tomassini e spalleggiati da nostalgici della Buonanima avevano manifestato un chiaro dissenso annunciando che non si sarebbero fatti vedere. Nessun sostegno all’abbraccio tra i nemici-amici. Un’altra fetta imbarazzata di Pdl aveva invece espresso il doveroso entusiasmo per la storica svolta. Una parte ha taciuto. È finita che ieri i vertici del Pdl (ma non i quadri e i militanti) erano quasi al completo negli angusti spazi della libreria Coop-Ambasciatori, dai parlamentari Raise, Bernini, Palmizio al candidato governatore Mazzuca. Fini ha liquidato la polemica con la collaudata battuta di un intellettuale di sinistra, Nanni Moretti, già citato dal Secolo d’Italia: «Mi si nota di più se vado o se non vado?». È stata invece notata l’assenza della sinistra ufficiale, imbarazzata anch’essa; in compenso c’era lo stato maggiore di Coop Adriatica, compreso l’ex presidente Pierluigi Stefanini (ora in Unipol), e Stefano Bonaga, il filosofo ex compagno di Alba Parietti, impegnato in un’accesa discussione con Italo Bocchino mentre il resto della compagnia si concedeva un bel brindisi bipartisan. Tra il pubblico tanta gente normale, soprattutto di sinistra, curiosa di vedere da vicino l'uomo della svolta. Ma non è stato necessario aprire le sedie pieghevoli né accendere gli altoparlanti piazzati all’esterno, su via degli Orefici, in previsione di un afflusso massiccio che non c’è stato.
Il presidente della Camera è volato altissimo, senza citare un solo protagonista della politica italiana, cui ha riservato soltanto critiche. Gli astri del suo firmamento sono Sarkozy, la Merkel, Obama, addirittura Kennedy, e il guru Nicholas Negroponte incontrato in mattinata a Roma. Nessun commento all’incontro di mercoledì con Silvio Berlusconi ma lontani riferimenti: «Le differenze sono il sale del confronto», «chi non discute è pigro oppure è poco convinto delle proprie idee», «la politica italiana guarda solo nello specchietto retrovisore», «chi dice che mi sposto a sinistra ammette un’inferiorità culturale», «cadono i muri ma non i pregiudizi». I suoi temi sono la cittadinanza, la «green economy», l’etica della responsabilità, la laicità della politica ribadita con riferimento alla bioetica. «Le leggi devono essere laiche, in particolare quelle su temi eticamente sensibili devono ossequiare non dogmi religiosi ma il principio della libertà e della coscienza personale».
Per un’ora Fini ha esaltato la «cultura del dubbio» e «la società senza frontiere», criticando soprattutto chi affronta i problemi dell’immigrazione «soltanto con la carta della propaganda e lo sguardo puntato ai voti da prendere alle Regionali». Nel suo gelido sprezzo dell’italico politicume, Fini si ritaglia il ruolo di «quello che mette il sale nella minestra per alimentare la discussione e rimuovere i pregiudizi. I risultati cominciano a vedersi. Per esempio, il ministro Gelmini ha corretto il tiro sul tetto agli alunni stranieri in classe». Perfino i rari complimenti sono finiti a sinistra: «Si è riappropriata di un valore come il patriottismo».


Resta una domanda, esplicitata da Sofia Ventura, politologa bolognese di Farefuturo: «Qual è il percorso che ha portato a questa svolta? Dobbiamo aspettarci un secondo libro con questo racconto personale?». Risposta finiana: «Per ora non ce l’ho in agenda, però mai dire mai». Per ora, dunque, il mistero rimane.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica