Gianni: «Così il Tesoro sbaglia»

Il sottosegretario allo Sviluppo economico boccia la linea del governo: «Il debito va stabilizzato e non abbattuto»

Antonio Signorini

da Roma

La cosa giusta da fare è presentarsi a Bruxelles e annunciare alla Commissione europea che l’Italia non ridurrà né il deficit né il debito pubblico. E offrire in cambio una «stabilizzazione» dei conti pubblici. Il sottosegretario allo Sviluppo Economico Alfonso Gianni propone una terza via rispetto alle due che sono per il momento in campo (una Finanziaria 2007 con 35 miliardi tutti in un anno oppure in due). Quello dell’esponente di Rifondazione comunista non è un compromesso tra le due scuole di pensiero presenti nella maggioranza, ma un’alternativa radicale che, se realizzata, ci porterebbe a uno scontro durissimo con l’Europa. Una partita che, assicura Gianni, vale comunque la pena di giocare. Anche se, come sembra, sta prevalendo la linea Padoa-Schioppa, supportata dal richiamo dell’Ue, di una finanziaria da 35 miliardi tutti nel 2007. «Questa è effettivamente l’impressione che si ha. Anche perché io sto alle parole del mio ministro (Bersani, ndr) che è persona molto seria. Poi magari non siamo d’accordo».
E ora siete d’accordo?
«No. Il mio disaccordo è all’origine e riguarda l’impostazione del Tesoro».
Sono in molti come lei a non volere il rigore annunciato da Padoa-Schioppa. Però la sua posizione è diversa anche rispetto a quella degli altri «sviluppisti».
«Io ritengo, insieme ad una settantina di economisti che hanno firmato un appello in questo senso, che sia possibile, anziché abbattere il debito, stabilire una strategia per stabilizzarlo. Ad esempio si può decidere che un debito al 107% del Pil per cinque anni non aumenterà né sarà abbattuto. Così si eviterebbero finanziarie pesanti e si potrebbero destinare più risorse per sostenere la domanda interna e la ripresa».
Quindi il debito fermo al 107% del Pil. E il deficit?
«Non oltre il 3,3% del Pil».
Come pensa di convincere l’Unione europea?
«Innanzitutto i trattati non prevedono sanzioni economiche in caso di non abbattimento o di aumento del debito. Per il deficit, invece, ci sono sanzioni, ma gli esempi di Francia e Germania ci dicono che la soglia del 3% è indicativa e non ostativa».
Il commissario agli affari economici Joaquín Almunia ha detto che all’Italia è già stato concesso tutto il possibile. E che non c’è spazio per ulteriori deroghe...
«È chiaro che servirà un confronto ringhioso con l’Europa. Ovviamente in prima battuta ci diranno di no, ma poi i no possono diventare dei nì e i nì possono diventare dei sì, magari mal sopportati. Naturalmente io faccio questo ragionamento perché so che le prospettive economiche sono migliorate. C’è stato l’incremento delle entrate fiscali nel 2006 che fa ben sperare anche per il futuro e poi c’è la mini ripresa della produzione industriale. Nel giro di due o tre anni, con l’economia più florida, potremmo essere in grado di affrontare meglio anche la riduzione del debito».
Il giudizio delle agenzie di rating è forse più temuto di quello di Almunia e una rinuncia all’abbattimento del debito ci renderebbe meno affidabili. Avete affrontato anche questo problema?
«Francamente a me sembra che le agenzie di rating, più che registrare le difficoltà di un Paese, le creino. Non bisogna dargli retta più di tanto e farci spaventare da chi manovra ad arte il mercato finanziario. E bisognerebbe avere un po’ più di fiducia in noi stessi. Prima strilleranno un po’, poi si adegueranno».
Non c’è il rischio che esploda il costo che lo Stato affronta per gli interessi?
«Non credo a un rischio default per l’Italia. Il sistema dell’euro è talmente integrato che non corriamo rischi».


Se questa proposta non dovesse trovare sponde lei si schiererà con chi chiede di spalmare in due anni la manovra?
«Certo, io sono per la riduzione del danno. Ma quella che pongo è una questione politica che non può essere di sola competenza dei ministri. Io chiedo che se ne discuta in una riunione di maggioranza».

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