C'era una volta un bravo giornalista e c'è ancora, ma non scrive più: adesso parla. Chi glielo abbia fatto fare, non si sa. In questi casi si pensa sempre ai soldi. Il soggetto in questione è Massimo Giannini, una brillante carriera alla Repubblica che improvvisamente e improvvidamente egli ha lasciato, quando occupava la poltrona di vicedirettore, per trasferirsi alla Rai e condurre Ballarò, programma della terza rete portato al successo da Giovanni Floris. Il quale Floris - a sua volta per quattrini - ha mollato il certo per l'incerto, essendo emigrato a La7, chiamatovi da Urbano Cairo, l'unico editore italiano più attento ai bilanci che ai prodotti.
I soliti bene informati sostengono che Giannini non abbia resistito al compenso offertogli dall'ex monopolio: 400mila euro. Spero per lui che la cifra sia netta; qualora fosse lorda, mi domanderei se valesse la pena rinunciare al posto sicuro nel quotidiano diretto da Ezio Mauro, dove gli stipendi non sono da fame, specialmente quelli dei vertici redazionali.
Lo stesso discorso meriterebbe Floris benché il suo reddito pare abbia compiuto un salto più alto rispetto a quello del collega. La psiche umana è misteriosa, figuriamoci quella dei due giornalisti televisivi in guerra per motivi professionali. Infatti, i loro programmi sono pressoché identici e si dividono, inevitabilmente, gli spettatori.
Se Floris, col suo Di Martedì, ruba uno zerovirgola di audience al concorrente, fa i salti di gioia come se avesse vinto la Champions. Idem Giannini con Ballarò, un brand collaudato ma non al punto da non soffrire l'abbandono del fondatore per quanto il successore, privo di esperienza televisiva, se la cavi.
Entrambi i conduttori si rivolgono al medesimo target progressista essendo anch'essi progressisti, ciò che impedisce loro di progredire. Non possono perché gli italiani non sono tutti rossi, almeno la metà non sopporta le trasmissioni sfacciatamente sbilanciate a sinistra e si guarda bene dal seguirle. Cosicché Giannini e Floris, a prescindere dalle capacità (indubbie), sono costretti a spartirsi il piatto, col risultato di essere gli unici «cuochi» del nostro Paese ad aver adottato le mezze porzioni, vanamente pretese dal già ministro della Sanità, Girolamo Sirchia. In questo senso i due hanno il diritto di definirsi innovativi e in sintonia con Expo, l'imminente esposizione riservata al cibo.
Per il resto, tirando le somme, hanno fatto un pessimo affare. Difatti i dirigenti delle emittenti sono proni davanti alla legge dei numeri: se un programma non sfonda e, pertanto, non raccoglie pubblicità a sufficienza, non indugiano a chiuderlo, infischiandosene bellamente del personale che ci rimette la paga, ricca o povera che sia. Temo che almeno una delle star (probabilmente Giannini, dato che Rai 3 è più pretenziosa di La7) la prossima stagione sia sollecitata a sloggiare. Mi dispiacerebbe perché Massimo, posizione politica a parte, è giornalista stimabile.
Dalla vetta della mia età,
qualora la funesta previsione fosse esatta, gli consiglierei di bussare a Mediaset che considera la gente di sinistra benvenuta, perché utile a fare dispetti al padrone, Silvio Berlusconi.P.S: chiedere informazioni a Enrico Mentana.
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