
E ra il 2 novembre 1975. Il cadavere di Pier Paolo Pasolini, orrendamente straziato, giaceva sul terriccio accanto a un campo sportivo, all'Idroscalo di Ostia. Non troppo lontano c'era un quartiere di baracche. Il colpevole, reo confesso, era Pino Pelosi, detto "la rana". Che "la rana" avesse potuto massacrare un uomo in forma come Pasolini apparve subito improbabile. La sentenza di primo grado, infatti, lo condannava assieme ad almeno due ignoti, che avevano lasciato tracce inequivocabili della loro presenza.
La morte di Pasolini è forse la più prevista e la meglio descritta. Da Pasolini stesso. Il poeta ha profetizzato il giorno, il modo, il luogo e perfino le reazioni. Chi volesse tutte le citazioni, può leggere il suggestivo Hostia (Marsilio) di Giuseppe Zigaina, il pittore amico di Pasolini. Qui ci limitiamo ad alcuni accenni al limite del credibile. Eppure realissimi.
Si legge nella finta nota dell'editore premessa alla Divina Mimesis "egli (l'autore, cioè Pasolini, ndr), è morto, ucciso a colpi di bastone sulla spiaggia". L'Idroscalo di Ostia, non è citato ma appare chiaramente in alcune scene di Petrolio in cui Carlo, il protagonista, si apparta con l'amante, Carmelo: "Carlo fermò la macchina, vicino al cancello semiaperto di un lungo steccato. Dietro c'era il vuoto di un campo sportivo. Dietro a questo c'era una siepe slabbrata, divorata dall'inverno, ma piena ancora di foglie: e, dietro ancora, un altro quartiere. Di costruzioni basse, questo, di baracche, con qualche casa di tre o quattro piani, costruita da qualche capomastro, nuda, grigia senza intonaco". Spaventosa anche la scena del delitto descritta in Bestia da stile: "Proprio perché è festa. E per protesta voglio morire di umiliazione. Voglio che mi trovino morto col sesso di fuori, coi calzoni macchiati di seme bianco, tra le saggine laccate di liquido color sangue".
Oggi c'è il sole e fa caldo. Costeggiamo l'argine dell'Idroscalo, al di là del quale ondeggiano gli alberi di piccole imbarcazioni. Poi una svolta a sinistra, venendo da Roma, ed eccoci sul viale che conduce a Ostia. Non si riconosce nulla o quasi del luogo del delitto, almeno per come l'abbiamo potuto vedere nelle foto d'epoca e attraverso le parole di Pasolini stesso. Al posto delle baracche dove i romani andavano a dormire nel fine settimana, con o senza prostituta al seguito, ci sono capannoni fatiscenti. L'industrializzazione non pare sia andata a buon fine. La polvere è bianca. Anzi il colore dominante, dalla parte del mare, è il bianco. Sono bianchi anche i capannoni, e anche l'orizzonte ha una sfumatura più chiara. Nelle immagini scattate nel 1975, in bianco e nero, si intuisce il colore marrone del fango, e l'altro colore, raccapricciante, è il nerissimo del sangue rappreso.
Dall'altro lato della strada, verso Roma, il colore dominante è invece il verde dell'oasi Lipu all'interno della quale sorge il monumento a Pasolini.
È un piccolo giardino, disseminato di lapidi con versi del poeta. Due sentieri conducono a un minuscolo spazio, diametralmente opposto all'ingresso, occupato da una statua. Si entra da un cancelletto di ferro, che troviamo accostato come se fosse chiuso. Ci sono, oltre alle lapidi, anche alcune panchine dove fermarsi a meditare, sotto il sole ancora rovente. Per terra si intuisce la presenza di versi illuminati da sotto. Le scritte sono rovinate e sono leggibili a stento. Ogni tanto una lapide spiega quali siano state le opere più significative di Pasolini.
Dal giardino partono anche i percorsi che conducono ai centri di osservazione della Lipu. Sono chiusi da cordame. Si intravede appena, più in là, una costruzione seicentesca, una goffa torre militare, "questo bestione papalino, merlato accucciato tra pioppeti di maremma, campi di cocomeri, argini, questo bestione papalino blindato da contrafforti del dolce color arancio di Roma, screpolati come costruzioni di etruschi o romani, sta per non poter più essere compreso". È un presagio perché "la morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi" (da Una disperata vitalità, e il brano è anche su una lapide del giardinetto). Ormai abbiamo capito: Pasolini conosceva bene queste poche centinaia di metri quadrati.
In teoria, la statua sorge nel punto dove fu trovato il corpo del poeta senza vita. È difficile immaginare e ricostruire la scena. La colluttazione, le bastonate, l'auto che passa per due volte sul corpo di Pasolini, sfondandolo e facendogli esplodere il cuore. La gente, nelle baracche, che ascolta in silenzio e senza muovere un dito. Pelosi che perde (o getta) l'anello a causa del quale si auto-inchioda, collocandosi sulla scena del crimine.
Il monumento è impressionante. Un giardino così insignificante per ricordare l'intellettuale forse più significativo del Novecento e oltre. La statua è stata collocata, per iniziativa del Comune di Roma, solo nel 2005, a trent'anni dalla morte. Prima non c'era nulla. La statua stessa, negli anni a seguire, divenne il simbolo di un'area lasciata nel più completo abbandono.
Dobbiamo dunque ringraziare la Lipu se il giardino esiste e non è stato inghiottito dalla vegetazione selvaggia.Forse a Pasolini, che amava l'umiltà, sarebbe piaciuto un simile monumento. Un cittadino comune, invece, non può che provare un po' di vergogna.