Il gioco al massacro del centrosinistra sui candidati premier

Paolo Armaroli

Personalmente ne siamo più che convinti. Ma ci conforta il fatto di essere in eccellente compagnia. Difatti pure un personaggio non sospetto come Giuseppe Chiarante, uomo di sinistra tutto d’un pezzo, sul manifesto del 20 agosto afferma che le primarie si stanno rivelando per la coalizione di centrosinistra un vero e proprio gioco al massacro. Cerchiamo di capire il perché. Romano Prodi, si sa, si crede il più furbo del cucuzzaro. Senza averne l’autorità, ha meno divisioni del Papa. Se si volta indietro, non trova nessuno. Per forza, non è il leader di nessun partito. E gli sparuti seguaci che ha si contano sulle dita di ben poche mani. L’allegra brigata del centrosinistra, più variopinta dell’arcobaleno, lo ha incoronato re. Ma il Professore si rende ben conto di rischiare la parte del re Travicello. Ma sì, un principe senza scettro. E, com’è come non è, si è sfilato dalla manica un asso. O meglio una carta ritenuta tale. Come un prestigiatore, si è affidato alle elezioni primarie.
Fidarsi è bene e non fidarsi è meglio. Il centrosinistra gli ha assicurato fedeltà erigendolo a suo leader, chiamato a sfidare Silvio Berlusconi nelle elezioni della prossima primavera. Ma, sospettoso com’è, Prodi non se ne accontenta. Sa bene che i patti, anche quelli solennemente sottoscritti, sono un po’ come i trattati per Bismarck: pezzi di carta e nulla più. E lo sa per esperienza personale, dopo il capitombolo dell’ottobre del 1998 che gli costò la poltrona dorata di Palazzo Chigi. Perciò adesso non gli basta più la benedizione dei capataz dell’Unione. No, vuole essere l’unto del popolo di sinistra. Vox populi, vox Dei. Il guaio è - parola di Bettino Craxi - che le vecchie volpi prima o poi finiscono in pellicceria. Prodi si illudeva di essere il candidato unico. Con il risultato che le elezioni primarie si sarebbero tramutate in un plebiscito in suo favore. E invece, guardate un po’, il diavolo ci ha messo la coda. E che coda!
A poco a poco, infatti, i candidati sono spuntati come funghi. Per primo è sceso in campo Fausto Bertinotti nella convinzione di riportare un successo personale e di condizionare pertanto il programma della coalizione. E ben presto lo hanno seguito molti altri: Mastella, Di Pietro, Pecoraro Scanio. E non è finita. A bordo campo si stanno riscaldando i muscoli una variopinta schiera di personaggi. Come Scalfarotto, che si è preso il disturbo di fondare a Londra un circolo di «Libertà e giustizia». Come il pacifista don Gallo. Come Gino Strada, corteggiato dalla sinistra radicale. Come don Vitaliano Della Sala, pure lui pacifista puro e duro. Mentre Vittorio Sgarbi ci lascia con il fiato sospeso. Parteciperà pure lui o no alle primarie? Insomma, siamo alla carica dei centouno o giù di lì.
A chi giova tutto ciò? Di sicuro non giova a Prodi. Perché più si moltiplicano i candidati e minori sono le sue probabilità di fare il pieno dei voti. Una circostanza, questa, che dopo tutto non dovrebbe dispiacere più di tanto ai partiti che a parole lo sostengono. Costoro naturalmente vogliono che vinca ma non che stravinca. Perché in tal caso rischierebbero di essere ostaggi nelle mani del Professore bolognese. Ma non giova neppure a Bertinotti, che sperava di non avere nemici a sinistra e che invece adesso deve vedersela con candidati certamente outsider ma che dovrebbero erodergli un bel po’ di consensi. Risultato: Prodi e Bertinotti, fautori a oltranza delle primarie, faranno la fine degli apprendisti stregoni. Vittime dei loro stessi artifici. Di qui al 16 ottobre, quando si svolgeranno le elezioni primarie, ne vedremo delle belle. Proprio così, assisteremo a un gioco al massacro in piena regola.

Come non dare ragione a Chiarante?
paoloarmaroli@ilgiornale.it

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