Ma neanche un po’. Giorgia ora è lontana anni luce da quella là, quella che ha vinto Sanremo e che ha sempre cullato la voce con i virtuosismi. «L’hai detto» annuisce con un sorriso. È un’altra. Oplà. Avanti tutta. Il suo nuovo disco, il primo dopo quattro anni, non va Dietro le apparenze, come vorrebbe il titolo in uscita il 6 settembre (e Sky Uno alle 23 le dedica lo speciale Uno in musica). Figurarsi. Va proprio alla sostanza e non importa che duetti con Eros Ramazzotti o che Marina Rei e Jovanotti le abbiano confezionato brani su misura. Grandiosa interprete. Finalmente bella scrittrice. Decisamente nuova. Adesso canta con la pancia, come direbbe un vecchio impresario teatrale, canta senza filtri e basta con i belletti tecnici, le impennate, le note che guarda un po’ se qualcun’altra riesce a toccare. Tutt’altro. E già il singolo Il mio giorno migliore, scaricatissimo questa estate, era lì a confermarlo con quel ritornello che anni fa lei per carità no, troppo semplice, e invece è azzeccato come pochi. «Quanta paura avevo prima di iniziare a registrare» sussurra. Ma quando mai: ha cambiato se stessa, ha cambiato squadra, ha cambiato tutto ma è rimasta finalmente quella che era all’esordio: la miglior voce italiana. Ora con più pancia. E meno fisime. O fifa, chiamatela come volete.
Ma è davvero, cara Giorgia, tutto merito di Samuel?
«Si direbbe proprio che abbia dovuto aspettare i quarant’anni e un figlio per fare un altro passo avanti».
Smetterla di usare il talento come schermo. La paura.
«Quella della paura è perfetta, sottoscrivo. In ogni caso, ho iniziato a comporre e poi a registrare mentre diventavo mamma. E ho trovato la lucidità di anima e di mente che non avevo mai avuto prima. È un disco di libertà».
Ossia?
«Non mi chiedo più: piacerà o non piacerà? Non importa. Questa sono io, oggi, nel 2011».
Però ha cambiato squadra: tutto nuovo, dal produttore all’ufficio stampa.
«E anche per questo me la facevo sotto: non sai che paura cantare in studio con al di là del vetro una persona che non conoscevo».
Oltre ai brani firmati da lei e dal padre di suo figlio, ci sono quelli di Ramazzotti.
«Inevitabile è stato un regalo. Lui ed io abbiamo tanto in comune».
Di Jovanotti.
«Basta solo un verso di Tu mi porti su per rendersi conto di chi sia Lorenzo. Ti fa ballare, è pieno di energia. Ma poi ti scrive qualcosa come “le ali di cera che si sciolgono al sole” e ti obbliga a riflettere».
Di Marina Rei.
«Una fuoriclasse».
Aveva ragione Herbie Hancock quando disse che Giorgia è brava perché non ha paura di rischiare. Ha solo dovuto aspettare.
«Diciamo che lui lo sapeva meglio di me. E molto prima di me».
Ma come, tutti l’applaudivano, neanche una critica a pagarla.
«Però ci ho impiegato quasi vent’anni a superare tutto il bagaglio di paure che mi filtravano».
A proposito, e Sanremo?
«Beh, se mi invitassero, un pensierino lo farei».
Però sarà in tour in quel momento, visto che inizia il 21 gennaio da Roma. Band, super band oppure orchestra al seguito?
«Una via di mezzo. Anche perché le mie canzoni del passato devono essere suonate com’erano, con i suoni giusti e con l’elettronica di cui hanno bisogno».
Dal vivo stravolge i brani o li rispetta?
«La canzone è di proprietà di chi l’ascolta. Qualche tempo fa, sono andata a sentire Whitney Houston e mi aspettavo i brani che sono stati la colonna sonora della mia adolescenza».
Invece?
«Quando sono stati eseguiti così stravolti, ho iniziato a piangere. Quella musica lì per me è un pezzo di vita e così vale per tutti gli ascoltatori di musica, eseguirla il più simile possibile all’originale è una grande forma di rispetto per il proprio pubblico».
Ma certe volte l’ego è più forte.
«Mi è servita l’esperienza come dj a Radiodue. Se potessi, la rifarei subito. In radio, se la gente non capisce, è solo colpa tua. E poi cantare in studio. Una cosa magica».
Più delle canzoni per i film?
«Quella è un’altra situazione. Ma dopo Ozpetek, Placido e Lucini, spero che presto qualche altro regista mi faccia una proposta».
«Se sono in piedi adesso e se ancora credo al cielo su di me, lasciami dire che è solo grazie a te».
«Uno dei versi centrali del disco. Dedicato a mio figlio. Il brano si intitola Solo grazie a te».
Ma il cielo?
«Sta dietro le apparenze. Puoi chiamarlo cielo o puoi chiamarlo come vuoi. È la voce superiore che dà un senso alla vita. E che se, come in passato è capitato anche a me, lo tagli fuori dalla tua vita, dopo un po’ ti manca».
Prega?
«Di notte. Ma con preghiere mie».
La scrittura di preghiere è un campo poco battuto.
«Prendo un po’ da un mantra, un po’ da un rosario ma poi alla fine dico le parole che voglio».
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