La giornata nera di Giulio dalla Borsa agli alleati «Il mio un peccato veniale»

Roma«Nec sine te nec tecum vivere possum»: così, citando gli Amori di Ovidio, Gaetano Quagliariello sintetizza il rapporto nevrotico ma obbligato che lega oggi il premier al suo ministro dell’Economia.
Nel giorno più nero per lui e anche per l’Italia, con i mercati che affondano e i titoli di Stato sotto attacco, Giulio Tremonti viene descritto da chi lo ha visto e ci ha parlato nelle ultime 24 ore come un uomo visibilmente provato. «Non lo ho mai visto così scosso, in tanti anni: era chiaro che non si aspettava affatto quel che gli è arrivato addosso», racconta un amico che non è della sua parte politica ma che col ministro ha ottimi rapporti. Un collega di maggioranza lo descrive, con toni simili, come «sotto choc», e spiega: «Fino al giorno prima si sentiva intoccabile, improvvisamente gli è crollato il terreno sotto i piedi». Così intoccabile, aggiungono le stessi fonti Pdl, da «tirare a Berlusconi lo scherzo da prete del lodo Mondadori: prima gli ha dato l’ok al comma nel decreto, poi ha fatto esplodere la mina sui giornali», mandando all’aria l’operazione salvataggio. E mandando su tutte le furie il premier, che lo avrebbe volentieri sostituito seduta stante al ministero con il futuro (da ottobre, quando di dimetterà dalla Bce) disoccupato Lorenzo Bini Smaghi. E che giusto ieri mattina, proprio mentre infuriava lo scandalo Milanese, lo bastonava dalle colonne di Repubblica: «Pensa di essere un genio e che tutti gli altri siano cretini, è l’unico che non fa gioco di squadra».
Eppure ieri i due si son trovati costretti a mangiare allo stesso desco, in una «lunga e cordiale colazione di lavoro», come recita il comunicato di Palazzo Chigi, per fare fronte comune davanti all’attacco della speculazione internazionale che si è scatenato sull’Italia e per blindare la manovra, giurando che verrà approvata «entro l’estate» e che il pareggio di bilancio sarà raggiunto, come promesso, entro il 2014. Cordiale o meno che sia stato, il pranzo era un segnale indispensabile da dare ai mercati, per fermare la frana, e dare la sensazione che un governo e un ministro dell’Economia ancora ci siano.
Detto ciò, dal Pdl già si è levato il coro di chi, fermi restando i saldi di bilancio, spiega che ora molte delle misure previste da Tremonti andranno rimodulate: un chiaro indizio del fatto che il ministro viene percepito come meno «intoccabile» anche dalla maggioranza parlamentare. E ieri pomeriggio, dopo l’incontro di Palazzo Chigi, il Tesoro ha fatto trapelare che nelle pieghe della manovra esisterebbe un «tesoretto» di quasi 6 miliardi che, nel 2012, potrebbe finalmente regalare a Berlusconi i tanto sospirati (e finora negati) fondi per la «riduzione della pressione fiscale». Un ramoscello d’ulivo offerto al premier? Di certo, davanti all’emergenza finanziaria e alla fortissima preoccupazione che arrivava anche dal Colle, Tremonti e Berlusconi hanno sancito una silenziosa tregua. Anche se nessuno metterebbe la mano sul fuoco su quanto potrà accadere dopo il varo della manovra.


Ieri attorno al ministro dell’Economia giravano le voci più diverse: chi lo dava pronto alle dimissioni, dopo la lettura dei giornali di ieri mattina, e fermato solo dall’intervento del Quirinale; e chi invece assicura che Tremonti, pur amareggiato dal caso Milanese e turbato dagli interrogatori dei magistrati, è convinto di uscirne senza alcun danno: «Il mio è stato al massimo un peccato veniale, accettare ospitalità a casa di un amico».

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