da Roma
«La storia si ripete sempre due volte: la prima in tragedia, la seconda in farsa», diceva Karl Marx. Molti analisti hanno spesso utilizzato questa citazione anticipando lesito infelice del secondo governo Prodi. E lui stesso ha voluto farsi «azzannare» dal Parlamento per riproporsi come interprete moderno delleroe alfieriano.
Ma se si potessero confrontare virtualmente i fotogrammi del 9 ottobre 1998 e del 25 gennaio 2008, si riscontrerebbero molte differenze. A partire dal giorno: la prima bocciatura cadde di venerdì e il presidente prese subito il treno per Bologna in compagnia dellallora vice Veltroni promettendo battaglia. Dieci anni dopo, il tragico verdetto è giunto di giovedì e il Professore ha dovuto giocoforza cambiare programma.
Dalle 20.37, ora fatidica della seconda caduta prodiana, il tempo si è contratto ed espanso prolungando lagonia. Torniamo, quindi, al Quirinale ieri notte dove un Prodi commosso ha rassegnato le dimissioni nelle mani del presidente Napolitano. Finita lì? Neanche per sogno. Riunione notturna con i fedelissimi: in primis la moglie Flavia e il portavoce Silvio Sircana insieme a Rosy Bindi e ad Arturo Parisi. Non un arrocco, ma una messa a punto della strategia futura, i primi abbozzi dello spartito sul quale i prodiani faranno il controcanto del Pd.
Coricatosi a notte fonda, il premier si è svegliato di buon mattino. Prima il Cipe che ha in ordine destinato: 90 milioni ai beni culturali, 71,4 milioni alla Darsena di Civitavecchia e 104,5 milioni allo schema idrico Basento-Bradano. Poi, il Consiglio dei ministri. Ordinaria amministrazione? Non proprio. Tra il rammarico e il rimpianto sè trovato spazio per: 1) decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali con ennesima polemica dei ministri della Cosa rossa; 2) attacco di Di Pietro sulle nomine di Mastella; 3) nuova raffica di nomine tra le quali, oltre a Esercito e Corte dei conti, spiccano il Visco-boy Peleggi allAgenzia delle Dogane e la conferma di Ianì (Legacooop) a commissario per le emergenze zootecniche.
Anzi, secondo quanto si apprende, ci sarebbe stato anche un quarto punto da trattare. Prodi avrebbe preparato il decreto di rimozione del governatore siciliano Cuffaro. Ma il Quirinale, cui spetta la promulgazione, avrebbe stoppato il tentativo anche per non inasprire i rapporti con lUdc in questa fase così delicata.
Prodi, che è anche ministro della Giustizia ad interim, ha poi presenziato allinaugurazione dellanno giudiziario dove ha dispensato una perla di saggezza: «Un reato cè o non cè: non esistono quasi reati». Se ci si fermasse qui, sembrerebbe la cronaca del solito venerdì dellera dellUnione. Ma nel pomeriggio lormai ex premier è ritornato alla cruda realtà presenziando al vertice di emergenza nel loft e aprendolo con un suo intervento, quasi a simboleggiare lintenzione di non ammainare il proprio vessillo.
Certo, nelle dichiarazioni sono emersi ben altri contenuti. «Non sono io la persona che può adempiere al ruolo di guidare un governo per le riforme. Se si perde in Parlamento, anche solo per un voto, vuol dire che questo schema ha perso. Farò il nonno», ha detto Prodi. Poi, si è lasciato andare alle litanie del loft: «Non si può andare alle elezioni con questa legge», «governo Letta? decide Napolitano» e via discorrendo. Vero è che se nel 98 Scalfaro gli affidò il preincarico per valutare se si potessero rimettere assieme i cocci, fino a ieri nessuna mano si è mossa in suo favore.
Il film della giornata si conclude a Bologna, come nel 98. Questa volta il premier giunge a casa in macchina con Cofferati, Vitali e il Pd emiliano a dargli il benvenuto tra gli striscioni della folla. «Romano, grazie! Abbiamo ancora bisogno di te».
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