Una giornata in "Stazione". Qui crescono i carabinieri

Il comandante Franchina: «Dalle rapine alle liti all'ordine pubblico: sei mesi valgono vent'anni»

Una giornata in "Stazione". Qui crescono i carabinieri
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La parola «stazione» evoca concetti perlopiù legati al viavai, all'attesa, comunque alla transitorietà; un po' meno fa pensare invece all'accoglienza, al benvenuto, a qualcosa di stabile, che resta e su cui si può contare. L'eccezione riguarda l'Arma dei carabinieri per i quali la «Stazione» non è solo forse il presidio-vessillo di sicurezza più importante sul territorio, la mano tesa al cittadino e quello che rende la Benemerita l'«istituzione» per eccellenza nella mente della stragrande maggioranza delle persone. La Stazione è frequentemente una sorta di vivaio per chi svolge il lavoro-missione del carabiniere. Che qui cresce misurandosi con gli eventi e gli animi umani per non scordarlo più, ma anzi farne tesoro e andare oltre.

Una sorta di passaggio obbligato, a nostro parere, almeno a giudicare dai risultati della Stazione dell'Arma dei carabinieri «San Cristoforo» di via Bianca Milesi 6, a Baggio, una delle 17 stazioni che, a Milano città, dipendono dalle tre compagnie, la «Duomo», la «Porta Magenta» e la «Porta Monforte». La «San Cristoforo» ha giurisdizione su uno dei territori più grandi d'Italia che comprende, tanto per citare qualche nome, oltre a Baggio, Muggiano, la zona di via Forze Armate, le case Aler del Giambellino e del Lorenteggio, coprendo anche aree densamente abitate e molto frequentate come Primaticcio e i quartieri intorno a piazza Napoli; non mancano zone «diversamente vivaci» come via Creta e via Quarti, ma anche via Odazio e via Segneri.

Il luogotenente Paolo Franchina, 52 anni e un passato anche nella prima missione Eufor in Bosnia (2005) comanda 16 sottoposti, tra cui oltre a un vice che è maresciallo capo, ci sono 5 signore di cui una è un maresciallo e quattro sono carabiniere: un terzo della forza, insomma, è donna.

«In una stazione come questa, dove si svolge qualsiasi genere di incarico, in un arco di sei mesi o di un anno un giovane carabiniere è in grado di maturare una esperienza che altri colleghi, altrove, non riescono a fare in vent'anni» assicura Franchina -. Anche chi è arrivato qui da poco ha già visto una quantità di codici rossi, di rapine, attivazioni complesse dal punto di vista di polizia giudiziaria, ha partecipato a servizi di ordine pubblico allo stadio o di vigilanza a personalità e, soprattutto, essendo questi ragazzi il front office della caserma hanno già avuto modo, con frequenza di 20-30 persone a turno, di conoscere problematiche private e personalità di tantissimi generi, magari coinvolte in liti e maltrattamenti in famiglia, ma spesso anche solo desiderose di condividere un problema. Così, nel giro di due-tre anni, i nostri militari maturano una professionalità veramente importante».

La maggior parte dei carabinieri qui vive in caserma, c'è una cucina attrezzata accanto alla sala mensa e non lontano dagli uffici, camere doppie o singole con i bagni. Tutto all'interno di una palazzina ben attrezzata che risale al 2000 e che da fuori non ha nulla di molto diverso da una qualsiasi costruzione residenziale. Si respira un'aria indaffarata ma di normalità, strettamente connessa ai ritmi di una città come la nostra, quindi anche oppressa da una valanga di burocrazia.

«Il personale è giovane e si fa molta vita di stazione, come se si trattasse di una piccola comunità - fa notare ancora il comandante. E aggiunge: «Possiamo osservare questi ragazzi crescere. Il momento in cui cambiano in maniera decisiva è con l'arrivo del corso successivo. Quando cioè chi ha 7-8 mesi o un anno di servizio può svolgere il ruolo di capo pattuglia e passare da semplice autista della vettura a responsabile del servizio. Si tratta di un momento di crescita pazzesco, durante il quale si nota in maniera netta la linea di svolta tra il passato e il presente.

Chi era stato finora sempre sottoposto deve prendere l'iniziativa, seppure con un ordine di servizio e indicazioni fornite dall'alto. E, proprio come in una comunità, tutta l'attività futura ne risente: chi era più esuberante si tranquillizza, chi era schivo spicca. Ecco: assistere a questo processo è sempre una emozione».

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