Roma

Un giorno d’ordinaria scortesia all’ufficio postale

L’odissea di un cittadino qualunque alle prese con lettere da imbucare e bollette da pagare

Gualtiero Vecellio

Della serie: in città non ci si annoia mai. Giornata di sole, calda ma non afosa. Approfittiamone per andare a pagare alcune bollette all’ufficio postale; già che ci siamo portiamo anche quelle buste da spedire e mai imbucate che per via del formato, del peso e della variazione delle tariffe non sai mai con che francobolli affrancare. Detto fatto. Davanti all’ufficio postale, prima sorpresa: un cartello affisso alla porta avverte che il «sistema è scollegato», ma che si pagheranno ugualmente le pensioni, «ci si scusa per il disagio». L’ignaro cittadino non presta particolare attenzione ed egoisticamente pensa: sono venuto a fare un versamento, non a incassare la pensione. Lo colpisce di più il fatto che la macchinetta che distribuisce i numeri per la prenotazione sia disattivata. Toccherà fare la fila, pazienza. Non c’è molta gente, per fortuna. I minuti passano lenti. Gli sportelli sono sei, quelli funzionanti solo due. Al bancone delle raccomandate non c’è nessuno. Arriva finalmente il turno. L’operazione per pagare il bollettino di conto corrente è veloce. A questo punto l’ignaro cittadino chiede all’impiegata:
«Signora, ha idea che affrancatura occorra per questa busta?».
«No, mi spiace, la bilancia non funziona. Vada da un tabaccaio».
La bilancia non funziona nell’ufficio postale?
«No, e ringrazi che siamo aperti per pagare le pensioni».
Scusi, oggi è sabato, non è giorno di festa. Di cosa dovrei ringraziare? Non siete pagati per questo?
«C’è stata una rapina».
L'ignaro cittadino ricorda, per averne letto un trafiletto sul giornale, un paio di giorni prima. Un figuro, col viso coperto dal casco, pistola alla mano, aveva arraffato svelto un migliaio di euro, poi s’era involato a bordo di una moto. Si può comprendere lo spavento, lo choc, pensa tra sé. Ma chiede: «L’ufficio postale chiude per una rapina di due giorni fa?».
«Ringrazi che non ho fatto come i miei colleghi che si sono dati malati».
L’utente comincia a stufarsi di dover dare tutti questi ringraziamenti. Forse bisognerebbe ricordarsi di più che si tratta di un servizio al cittadino.
«Lei non sa come funziona la Posta», dice l’impiegata, un po’ piccata.
Ha ragione. Come funziona lo ignoro. In compenso so benissimo come non funziona, dice il cittadino ignaro. A questo punto è chiaro che non ha più bisogno del caffè che voleva prendere dopo le operazioni postali, ora sente bisogno di una camomilla.
Uscito con le buste in mano e non affrancate, cerca un tabaccaio. Il primo in cui si imbatte, gentilissimo, ma ancor prima di pesarle, con occhio esperto dà la diagnosi e comunica l’importo, puntualmente confermato dalla bilancia. Senza fila, senza discussione, e ricevendo un sonoro «buona giornata, grazie», mentre esce. All’ignaro cittadino vien da pensare, automaticamente, alla recente proposta del giuslavorista Piero Ichino: licenziare i comprovati «fannulloni» della Pubblica amministrazione, uno su cento, indicativamente; e alle tante critiche che questa idea aveva suscitato, da parte del ministro della Funzione pubblica e dei dirigenti sindacali. Ichino non avrà ragione, come sostengono autorevolmente in tanti. Ma che dimostrino che ha torto, se ce la fanno!
Ps.: l’autore di questo racconto non teme smentita di sorta.

Il fatto è accaduto sabato mattina, alle 10,30 circa; a richiesta è disponibile a rivelare in quale ufficio postale della città l’episodio si è verificato.

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