Roma

Il giorno delle fave (e del pecorino)

Il giorno delle fave (e del pecorino)

Chiara Cirillo

Metti una giornata come di piena primavera (contando sul fatto che anche Giove Pluvio si prenda un giorno di riposo), una tavola imbandita o una tovaglia distesa sul prato. E aggiungi fave e pecorino, pane e vino rosso.
Un abbinamento indissolubile per i milioni di romani che da anni festeggiano così il primo maggio. La tradizione infatti vuole che la scampagnata di inizio primavera sia celebrata con un abbondante consumo di questo legume sfizioso, tanto che la Confederazione Italiana Agricoltori, stima che da nord a sud, solo il primo maggio, se ne consumeranno circa 30 milioni di chili. Qualcuno - previdente - lo avrà acquistato in anticipo al mercato rionale o sui banchi del supermercato. Qualcun altro, invece, si lascerà tentare dai tanti banchetti che in questo giorno compaiono ai bordi delle strade più battute dai forzati del fuori porta. Sia come sia, con lo spiccato profumo di erba di campo e con quel retrogusto un po’ acidulo, le fave sono da millenni il legume che annuncia alla città l’arrivo della bella stagione. E il primo maggio sono le protagoniste della festa. E per una star il prezzo è in fondo abbastanza contenuto: a Roma un chilo di fave fresche costa da 1,50 euro fino a 3 euro.
Ma come scegliere le fave più buone? Facendo una ricognizione tra i banconi di un mercato grande come quello Trionfale, di cassette di fave ce ne sono in ogni dove. Ma per sceglierle fresche e croccanti bisogna guardare i «baccelli», che se freschi «si riconoscono perché ben chiusi e turgidi - ci spiega una allegra signora -. I semi sono croccanti, consistenti e dal verde chiaro brillante, senza macchie o screpolature».
Questo per le fave. Che vanno accompagnate però non con un pecorino qualsiasi, ma con quello rigorosamente romano a denominazione d’origine protetta (dop), vale a dire uno dei più antichi formaggi al mondo, prodotto da più di duemila anni nella zona dell’Agro Romano e che proprio quest’anno compie i suoi primi dieci anni con il marchio dop. Certo, per avvalersi di questo prestigioso marchio, il nostro pecorino «deve rispondere a precisi requisiti», come spiega Cesare Lopez, della storica azienda produttrice di formaggi laziale. Vediamo quali: «Deve essere fatto con latte fresco di pecora, la pasta deve avere una struttura compatta o leggermente occhiata e al taglio, il colore si deve presentare tra il bianco e il giallo paglierino». Nella azienda di famiglia che dagli anni Cinquanta produce delizie esportate in tutto il mondo, il vessillo dell’arte casearia laziale occupa in effetti un ruolo da protagonista. Ma sul bancone del salumiere, come facciamo a riconoscerlo? «Anzitutto dalla forme, che intere devono pesare almeno trenta chili, e poi sulla crosta nera sulla quale devono essere incise le parole “pecorino romano”. Su ogni trancio deve leggersi almeno qualche lettera». E il sapore? «Il pecorino romano, quello vero, ha un sapore molto aromatico, salino e leggermente piccante. La crosta nera, un tempo, forse qualcuno se lo ricorderà, era ricoperto di terra rossa». Certo, più è stagionato e più si intensificano le saporite caratteristiche, tanto da assumere un gusto molto deciso. Il pecorino romano è senza dubbio il più apprezzato tra i pecorini italiani. Merito del clima e del tipo di terreno delle nostre campagne, che fanno sì che il pecorino romano non sia pesante, né troppo salato, decisamente più morbido.
Pochi però sanno che il pecorino romano, a onta del nome, è oggi prodotto prevalentemente in Sardegna. Nella campagna romana sono rimasti in pochi a produrlo. E le case di produzione che vanno per la maggiore nella Capitale sono proprio quella di Cesare Lopez e la Brunelli. Il prezzo giusto varia dai 15 ai 19 euro al chilo sui banconi di ogni gastronomia o del salumiere sotto casa.
Paradossalmente questo formaggio non è però molto in voga sulle nostre tavole. Almeno da solo. Pur vantando radici profonde, infatti, il pecorino è noto soprattutto come condimento di alcuni dei piatti tipici della cucina del centro Italia. Come l’Amatriciana e la Carbonara. O il più classico «Cacio e pepe». Ecco che il primo maggio diventa la sua rivincita annuale.

Buon appetito.

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