Per un giorno il premier torna alla «sua» Bocconi «Presto rientro tra voi»

Milano Anche Mario Monti ha un cuore. Magari il premier non piange come Elsa Fornero, a lui si incrina la voce e deve soffiarsi il naso. Un filo di commozione nel rimettere piede da ospite alla Bocconi, la «sua» università, «per la prima volta dal 1961 quando venni a chiedere il modulo di iscrizione da studente». È un giorno importante, si inaugura l’anno accademico del super-ateneo di cui il premier resta presidente sia pure autosospeso. E dal quale Monti non intende staccarsi. «Molto presto il mio temporaneo incarico di governo verrà a scadenza - dice nel saluto che conclude la cerimonia - e se avrò vita e salute potrò sicuramente terminare il mio mandato quadriennale alla presidenza».
Non è la prima volta che il presidente del Consiglio assicura che la sua permanenza a Palazzo Chigi scadrà nel 2013, ma detto davanti alle solenni toghe bocconiane - pensando alle quali Monti confessa di «trovare conforto» - il proposito diventa un giuramento. E un avviso ai partiti che meditano di prolungare l’esperimento tecnico nella prossima legislatura. Monti non è disponibile, anche se non aggiunge nulla sul futuro. Come non si lascia sfuggire alcunché riguardo al provvedimento dell’altra sera, Milleproroghe e Imu alla Chiesa. Per lui parla un gesto che può apparire anche un segnale di attenzione e distensione verso la Cei: prima di varcare le porte a vetri della Bocconi, Monti e la moglie sono andati a messa nella vicina chiesa di San Ferdinando. Il premier «salva-Italia» sarà pure a termine, si troverà anche tra amici e colleghi, ma non per questo è meno determinato. Da politico consumato avverte i partiti ma anche le parti sociali, soprattutto i sindacati impegnati nel braccio di ferro con il governo sull’articolo 18. «Il diritto-dovere di decidere spetta essenzialmente a Parlamento e governo», scandisce. Un governo «nel quale cerchiamo di sentire, e ora sentiamo anche senza sforzo, il fiato innovatore dei giovani». È per le nuove generazioni che «ogni esecutivo deve sforzarsi di lavorare».
Ed è in nome dei giovani che Monti parla di riforme. «Siamo sempre coinvolti in modalità e riti collegiali per prendere le decisioni, come è giusto in un Paese in cui ci sono tante categorie e forze che sono rappresentate e vogliono partecipare alle decisioni, o perlomeno devono essere ascoltate. Poi credo che il diritto-dovere di decidere spetti al Parlamento e al governo», che si impegnano a rappresentare «chi non è quasi mai seduto a quei tavoli, spesso sconfinati». La stoccata è nello stile di Monti, orgogliosa e precisa dietro l’aspetto sobrio e misurato. La Cgil di Susanna Camusso è avvisata. Alla fine sull’articolo 18 deciderà lui, anche se magari farà qualche passo del gambero come è successo per le liberalizzazioni.
La Bocconi applaude in piedi il suo ambasciatore più autorevole. Monti entra alle 11,10 nell’aula magna accompagnato dalla moglie Elsa, dal sindaco Giuliano Pisapia e dal presidente Consob, Giuseppe Vegas.

Si accomoda in prima fila anziché sul palco, come era abituato da rettore e presidente. All’uscita una piccola folla di studenti lo attende. «Chissà che cosa si aspettano di vedere - mormora uno che si allontana - fino a tre mesi fa era sempre in via Sarfatti e lo salutavamo a malapena».

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