Giovanardi: "I miei quattro no all’ora d’islam nelle nostre aule"

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio: "In Italia serve l’integrazione, non la ghettizzazione"

Giovanardi: "I miei quattro no 
all’ora d’islam nelle nostre aule"

Roma - Sottosegretario Giovanardi è favorevole a introdurre l’insegnamento della religione islamica nella scuola italiana?
«Sono contrario. Il mio è un no deciso e definitivo».

Perché?
«I figli dei musulmani che vivono nel nostro Paese non devono essere separati dagli altri ragazzi. L’ora di islam a scuola si trasformerebbe immediatamente in una sorta di ghetto. Un’altra forma di separazione, un altro muro oltre a quelli già eretti dalle stesse comunità islamiche che vivono in Italia. Ma ci sono anche altri motivi».

Quali?
«Gli stranieri che vengono nel nostro Paese per restare, vivere qui ed avere figli devono conoscere la nostra cultura, che affonda le sue radici nella cristianità. A un italiano che scegliesse di vivere in un paese islamico senza dubbio consiglierei di avvicinarsi al Corano, di approfondire quella cultura. Sia chiaro che non sto dicendo che dovrebbe convertirsi all’islamismo ma che dovrebbe conoscere il Paese dove ha scelto di vivere. E così devono fare gli stranieri che vengono in Italia. Senza conoscenza non c’è integrazione possibile».

L’idea di chi sostiene la proposta è sottrarre i giovani al rischio di finire nelle mani di predicatori radicali, ipotizzando anche l’istituzione di un albo cui far iscrivere insegnanti islamici «abilitati».
«Questo è il terzo motivo per il quale sono contrario. Quali insegnanti? Quale islam far entrare nelle scuole: sciita, sunnita o halawita? Sappiamo che sono realtà tra loro fermamente contrapposte. E dunque con quale criterio scegliere?»

Oltre alla comunità islamica, che è la seconda in Italia dopo quella cattolica, sono presenti anche fedeli di altre religioni.
«Il quarto motivo per il quale ritengo la proposta impraticabile. Perché i musulmani e non i buddisti? Si dovrebbe dare diritto d’accesso nella scuola pubblica ad insegnanti di tutte le religioni. Una scelta controproducente per i processi di integrazione».

Potrebbe essere una soluzione introdurre un’ora di storia delle religioni? Oppure, come chiede qualcuno, abolire l’ora di religione, insegnamento facoltativo al quale la maggioranza delle scuole non riesce ad offrire insegnamenti alternativi per chi sceglie di non frequentarlo?
«Assolutamente no. Il 90 per cento delle famiglie italiane professano la religione cattolica. L’ora di religione nelle scuole non è un’ora di catechesi ma un’ora di conoscenza alla quale non dobbiamo rinunciare. Penso ai nostri emigranti che sono andati all’estero, integrandosi senza rinunciare alla loro fede».

Dunque da dove può passare l’integrazione?
«Guardiamo alla comunità ebraica. Gli ebrei sono a pieno titolo cittadini italiani, perfettamente integrati pur mantenendo le loro tradizioni e la loro fede. Dico no alle separazioni. Primo dovere della scuola pubblica è unire ed integrare non dividere».

Il dialogo però appare sempre più difficile. Anche questa proposta che nasce in modo trasversale da maggioranza ed opposizione ha immediatamente alzato la temperatura della discussione. Sembra impossibile confrontarsi con toni pacati.
«Questo accade perché se si sbaglia le conseguenze potrebbero essere irreparabili. Una ricetta di integrazione sbagliata è un rischio che non possiamo permetterci. E mi sembra molto superficiale chi, come Massimo D’Alema, liquida le ragioni dei critici con sufficienza, trattandoci da sempliciotti. Semmai è lui che semplifica una questione assai complessa».

Quanto sia difficile il dialogo lo mostra pure il cammino lento e faticoso della Consulta islamica istituita presso il Viminale che non sembra fare passi avanti.


«Dovremmo prima di tutto stare a sentire gli islamici moderati come Souad Sbai, eletta con il Pdl, e Magdi Allam, Udc, che ci ricordano sommessamente come quell’impostazione alla rinuncia dei nostri valori, sia sbagliata».

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