Caro direttore,
sono un fedele lettore del Giornale, ed essendo un diciannovenne rientro in quella categoria di persone considerate nemici della politica. Oggi, leggendo la posta, ho notato la mail inviata da Umberto Villa da Milano, che faceva ben notare le condizioni in cui si trovano quelli della «nostra» generazione. Il caro Umberto, nella mail a lei inviata, faceva presente che la mancata partecipazione dei giovani alla politica era frutto di una carenza di ideali, di una mancanza di estremismi. Insomma, la politica è troppo molla, poca cosa per questa generazione di giganti. Lei caro direttore, dal canto suo, faceva ben notare come i giovani sono poco interessati alle cose reali, tutti davanti a un computer, per loro il mondo finisce lì. Io, invece, volevo aggiungere una postilla alle vostre interessantissime considerazioni. Parlando francamente e senza retorica, credo che la disaffezione alla politica sia frutto di una generazione allevata male e che cresce ancora peggio. I giovani di oggi, salvo casi eccezionali, vivono senza voglia di vivere, vivono come se quasi venisse loro imposto di farlo. Questo è un pessimo segnale soprattutto per il futuro, ma il mio ottimismo mi impone di non demordere e credere in una società migliore. Però, come possiamo pretendere che questi ragazzi amino la politica se risultano apatici dinanzi alla stupefacenza della vita? Come possiamo pretendere che si emozionino per un dibattito con Franceschini e Rutelli, se le uniche emozioni che sanno provare sono droga, alcol e guidare sballati a 200 chilometri lora sullautostrada? Veda, caro direttore, questa è la dura realtà, una realtà fatta di persone senza valori e forse senza neanche un futuro, che cercano emozioni estreme e molte volte finiscono per trovare la morte.
Caro Ciro, in verità Umberto sosteneva che moltissimi dei pochi giovani che si interessano di politica o sono di estrema destra o leghisti o comunisti, senza sapere che cosa significhino quei termini. E mi chiedeva che cosa può fare lo Stato per avvicinare i giovani alla politica. Io gli ho risposto che lo Stato non può fare niente e che sarebbe ora che i ragazzi smettessero di chiedersi «che cosa può fare lo Stato per noi» e che cominciassero a chiedersi che cosa possono fare loro per lo Stato. Tu dici di essere ottimista ma chiudi la tua lettera con un richiamo alla «dura realtà», dal quale traspare nei confronti dei tuoi coetanei un pessimismo degno di un adulto. Caro Ciro, è vero che, come tu scrivi, le nuove generazioni sembrano allevate male e cresciute peggio, che sembrano senza valori e senza entusiasmi. Ma per piacere, lascialo dire e chi è stato ragazzo in unepoca, gli anni Settanta, in cui la politica contava tanto, magari anche troppo. La politica è importante ma non è tutto. E non esaurisce lo «spazio pubblico» nel quale si può muovere chi vuol fare qualcosa di buono per gli altri e insieme con gli altri.
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