Giovanni Bollea, il neuropsichiatra che proteggeva i bambini

Giovanni Bollea, uno dei padri fondatori della moderna neuropsichiatra italiana, si è spento al Policlinico universitario A. Gemelli di Roma alle 18 di ieri dopo una lunga malattia e un altrettanto lungo ricovero.
Il professor Bollea non è stato soltanto un grande scienziato. È stato colui che ha introdotto in Italia un modo diverso di guardare ai bambini e alla loro formazione emotiva e cognitiva. A partire dagli anni Cinquanta, infatti, ha introdotto nel nostro Paese tutta una serie di profonde innovazioni nell’approccio alla neuropsichiatria infantile che mutuò dai pionieristici studi che aveva intrapreso durante il suo corso di specializazione a Losanna. Bollea, infatti - si era laureato in Medicina nel 1938, a 24 anni e si era specializzato in malattie mentali -, introdusse per la prima volta la psicoanalisi, la psicoterapia di gruppo e il lavoro d’equipe nella storica clinica universitaria di Roma. Fu poi fondatore e direttore dell’Istituto di neuropsichiatria infantile di via dei Sabelli a Roma e il primo presidente della Società italiana di neuropsichiatria infantile, nonchè promotore di innumerevoli iniziative a favore dell’infanzia.
E se il suo curriculum è impressionante sia per pubblicazioni e riconoscimenti - nel 2003 la laurea honoris causa in Scienze dell’Educazione, nel 2004 il premio alla carriera al Congresso mondiale di Psichiatria e psicologia infantile di Berlino, ha pubblicato oltre 250 lavori, tra cui il compendio di neuropsichiatria e il best seller Le madri non sbagliano mai (Feltrinelli) - cio che lo ha fatto amare anche fuori dal campo strettamente scientifico è stata la sua empatia verso i più piccoli e i più deboli e la sua capacità divulgativa.
In Le madri non sbagliano mai, pur partendo da solidissime basi scientifiche faceva leva soprattutto sulla comprensibilità e sul buon senso.
L’intenzione, dichiarata, era restituire serenità e insegnare a non deformare, complicandoli inutilmente, i messaggi, spesso semplici e diretti, che i bambini ci lanciano. Bollea per scriverlo si era rifatto ai suoi decennali incontri con i genitori, seguendo lo stesso metodo che utilizzava nelle sedute, lasciando che il quadro del problema o dell’argomento si componesse da sé.
Uno dei suoi cavalli di battaglia era la lotta contro lo schiaffo e le sgridate: «vorrei fare una riflessione sullo “schiaffo”, che io odio per un duplice motivo. Il primo è che colpisce una zona molto delicata qual è quella zigomatica: un trauma del genere può produrre seri danni cerebrali.
Il secondo motivo è che lo schiaffo non è mai educativo, bensì offensivo poiché diretto contro la personalità». Credeva invece nel rinforzo positivo: «Uno dei compiti maggiori dei genitori, in modo particolare del padre, è aumentare l’autostima del bambino.

Il padre è la via attraverso cui si entra in società. Non bisogna trovare sempre da ridire, bensì rincuorare: “Un’altra volta lo farai bene”».
La camera ardente sarà allestita in Campidoglio, nella Sala della Protomoteca, martedì 8 febbraio, a partire dalle ore 10.

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